Non basta concentrarsi sui materiali per fare un prodotto sostenibile
La newsletter di Solo Moda Sostenibile
Non basta concentrarsi sui materiali per fare un prodotto sostenibile: è quanto emerge da uno studio appena pubblicato relativo ai brand di medie dimensioni produttori di sneakers. La critica è semplice: ci si concentra esclusivamente sui materiali, ignorando i principi più ampi dell'ecodesign. Questo dà vita a iniziative frammentate, che non considerano l'intero ciclo di vita del prodotto e non considerano gli aspetti sociali nelle strategie di sostenibilità. Considerazioni che potremmo anche applicare all’industria dell’abbigliamento.

La ricerca dal titolo “An analysis of sustainability and performance indicators in Eco-Conscious trainers’ brands” è stata svolta dalla Queen Mary University of London ed è stata appena pubblicata.
I marchi di scarpe da ginnastica analizzati sono concentrati principalmente sull'integrazione di materiali sostenibili nei loro prodotti, indicando questo come il loro metodo principale per affrontare le problematiche ambientali. L'eco-design, che considera l'impatto ambientale durante l'intero ciclo di vita di un prodotto, è stato significativamente sottoutilizzato dalle aziende di scarpe da ginnastica analizzate.
Visto che le problematiche ambientali sono quelle che hanno riscosso la maggiore attenzione e impegno dai brand analizzati, l’analisi dimostra che i materiali sostenibili sono l’aspetto affrontato nel 64% dei casi, seguito dalla distribuzione sostenibile (12%), e il recupero a fine vita (9%).
La distribuzione sostenibile è stata affrontata in nove marchi su tredici, a dimostrazione dell'attenzione rivolta a una logistica efficiente e alla riduzione dell'impatto ambientale durante la movimentazione dei prodotti. L'Eco-Design è presente solo in cinque brand, a indicare una lacuna significativa nello sviluppo integrato dei prodotti per la sostenibilità.
Gli indicatori sociali nei brand analizzati hanno una percentuale inferiore di copertura, a indicare una misurazione meno sistematica degli impatti sociali. Mentre dieci marchi su tredici hanno utilizzato indicatori per la loro sfera ambientale, solo sei li hanno applicati alla sfera sociale, il che suggerisce un'applicazione incoerente delle metriche di prestazione.
UNA STORIA DI POLIESTERE
Lo so che le storie aziendali vi piacciono, anche a me. Questa l’ho trovata sull’edizione statunitense di Wired. Conoscete Repreve? E’ il poliestere riciclato da PET prodotto negli Stati Uniti da Unifi. Attualmente l’azienda ha due stabilimenti di produzione in Carolina del Nord, a Yadkinsville e Reidsville. Per chi conosce un po’ la storia del tessile americano, la Carolina è stata una delle principali aree tessili degli Stati Uniti. E’ stata anche la più colpita dagli effetti della delocalizzazione verso l’Asia all’inizio del Duemila. L’azienda ha oggi anche degli stabilimenti in Asia. Complessivamente negli ultimi 18 anni oltre 42 miliardi di bottiglie sono passate in tutto il mondo attraverso gli stabilimenti di proprietà e partner di Unifi e sono state trasformate in Repreve.
Repreve è di fatto diventato un brand che vende fibre di poliestere riciclato, acquistate da brand come The North Face, Nike, Guess, promettendo una riduzione delle emissioni di gas serra fino al 60% rispetto alla fibra di poliestere vergine e un consumo di acqua ridotto di due terzi. Oggi però il poliestere riciclato da PET non è più visto di buon occhio da un gruppo di consumatori sempre più attenti a quello che acquistano e anche le istituzioni europee stanno prendendo una posizione critica nei confronti dell’uso di questo materiale da parte del mondo della moda. Il mondo dell’alimentare sarebbe interessato a utilizzare le bottiglie usate, ma le aziende come Unifi sono disposte a pagare di più e si aggiudicano le forniture. C’è una concorrenza così forte sulle bottiglie di plastiche usate che si stima che nel 2030 la domanda supererà l’offerta.
Sono i Paesi dove è previsto il pagamento di una piccola cauzione per la restituzione delle bottiglie usate quelli che sono in grado di raccogliere più materiale pronto per il riciclo; quando questa non è prevista, i tassi di raccolta differenziata non raggiungono nemmeno il 10%.
La storia di Unifi è molto interessante: tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, la Cina rappresentava un mercato enorme per l’azienda. Ma già nel 1985 la Cina aveva conquistato ampie fette di mercato di questo materiale. Tra il 1997 e il 2009, più di 650 stabilimenti tessili hanno chiuso negli Stati Uniti. Delle 115 aziende americane produttrici di poliestere degli anni '70, solo 12 erano ancora in attività al 2022. Nonostante sia stata costretta a ridimensionarsi, con licenziamenti e chiusure di stabilimenti, Unifi ha però cercato di innovare il prodotto che offriva: nel 2000 capì che non sarebbe riuscita a competere con i colossi cinesi nella produzione di poliestere vergine. Così iniziò la ricerca per utilizzare il PET che proveniva dalle bottiglie usate, all’inizio con risultati poco incoraggianti. Ma con un po’ di caparbietà il risultato arrivò e Unifi presentò Repreve alla fiera Outdoor Retailer del 2004. E dopo poco arrivò il successo.
Quando si parla di poliestere riciclato, una delle principali preoccupazioni è che si tratti di un fake: esistono delle analisi di laboratorio per stabilire se il poliestere delle fibre è davvero riciclato oppure se è vergine. Repreve contiene un tracciante chimico brevettato, così il materiale può essere testato per garantire che sia stato effettivamente realizzato in uno stabilimento Unifi utilizzando vecchie bottiglie.
E’ il riciclo del poliestere textile-to-textile il futuro, quello del PET da bottiglie è destinato a ridursi. Unifi ha un programma speciale per The Noth Face per il riciclo del poliestere pre-consumo dell’azienda e adesso ha anche attivato un servizio simile di take back, ma sempre sul pre-consumo. Riciclare il post-consumo è quasi impossibile, a causa delle finiture e delle miste con altre fibre.
Resta il tema dell’impatto ambientale che una fabbrica di questo tipo ha sul territorio: rilascio di microplastiche e presenza di BPA, una sostanza chimica che altera il sistema ormonale. Inoltre è stata rilevata la presenza di 1,4-diossano nelle acque, un probabile cancerogeno per l'uomo. Tecnicamente, non è illegale perché nel 2024 l’EPA (Environmental Protection Agency americana) ha dichiarato che questa sostanza non è rischiosa per i lavoratori per le comunità. Una decisione che è in linea con l’approccio che l’EPA ha abbracciato negli ultimi mesi, ma non c’è da stare tranquilli: quando la politica domina la scienza, non può venire fuori niente di buono.
PESTICIDI E PFAS
L'Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) ha proposto la registrazione di quattro pesticidi di essi: ciclobutrifluram, diflufenican, isocicloseram e trifludimoxazina.
Tutti e quattro i pesticidi contengono un gruppo metilico o metilenico completamente fluorurato, sollevando preoccupazioni sulla loro persistenza nel suolo e nelle acque per molti anni. I gruppi ambientalisti sostengono che le sostanze chimiche siano sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) secondo la definizione raccomandata dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nel 2021. I PFAS sono notoriamente difficili da rimuovere dall'ambiente e alcuni di essi sono tossici a livelli estremamente bassi.
Secondo gli ambientalisti “I principi attivi dei pesticidi proposti possono degradarsi in acido trifluoroacetico, che persiste nell'ambiente per oltre 100 anni. Affermare che questo non rappresenti un problema tossicologico, come ha fatto l'EPA nelle sue valutazioni del rischio delle quattro sostanze chimiche, è "completamente fuori dalla realtà".
Le registrazioni proposte dall'EPA hanno suscitato un dibattito sulla definizione di PFAS. L'Office of Pesticide Programs dell'EPA considera i PFAS le sostanze chimiche contenenti almeno due atomi di carbonio saturi e completamente fluorurati, CF2 o CF3. L'OCSE definisce i PFAS come qualsiasi sostanza chimica con almeno un atomo di CF2 o CF3 saturo. L'Unione Europea ha adottato una definizione più vicina a quella raccomandata dall'OCSE. Le valutazioni del rischio per le quattro sostanze chimiche sono disponibili per la consultazione pubblica e mostrano come l'Agenzia è giunta alle sue conclusioni.
TEXTILE EXCHANGE PUBBLICA LA GUIDA PER PARLARE IN MANIERA CORRETTA DI AGRICOLTURA RIGENERATIVA
Dimenticatevi che alla fine la Direttiva sui Green Claims è stata ritirata, grazie alle pressioni di lobby confuse. Quando i processi sono innescati non si fermano. Una comunicazione accurata e precisa è necessaria, non solo nella moda, ma in tutti i settori. Per questo ho apprezzato la pubblicazione da parte di Textile Exchange di “A guide to a Credibile Regenerative Agricolture Claims”.
Ve la lascio come lettura per l’estate: anche se non siete esperti di agricoltura rigenerativa, è comunque utile per capire come dovrebbero essere costruiti dei claims e una comunicazione affidabile, con un approccio scientifico e accurato.
Purtroppo stiamo attraversando un periodo in cui tante persone, a tutti i livelli, pensano di poter parlare di moda sostenibile, anche senza avere la minima conoscenza dei processi produttivi e di un sistema industriale complesso. Il rischio di scrivere e dire scemenze è alto e può anche rischioso, in certi contesti. Invece di fare chiarezza, si rischia di creare una grande confusione. Non basta porsi delle domande su quello che indossiamo per proporre soluzioni o analisi campate per aria. L’industria della moda deve essere guardata con un approccio più scientifico, anche per bloccare il linciaggio che sta subendo da anni. Dobbiamo trasformare, mitigare, costruire, ci serve un approccio positivo, non critiche sterili.
E ORA CI SALUTIAMO!
La stagione di Solo Moda Sostenibile Weekly finisce qui. Le pause sono utili per ricaricare le idee. Da settembre 2024 ad oggi ho pubblicato:
38 newsletter
9 episodi del podcast, con tanti ospiti interessanti, che potere ascoltare tramite il sito, Spotify e le principali piattaforme audio
5 episodi di “Circular Fashion Talks”, il podcast realizzato in collaborazione con il Monitor for Circular Fashion di SDA Bocconi
Se vi siete persi qualche numero della newsletter, con 5 euro al mese potete avere accesso all’intero archivio e approfittare dell’estate per rimettervi in pari.
Con la newsletter e il podcast mi fermo qui, ma sul sito pubblicherò ancora qualcosa nelle prossime settimane, perché ci sono ancora degli argomenti che voglio affrontare. Ci ritroviamo a settembre con Solo Moda Sostenibile Weekly!
Ringrazio tutti e tutte per la vostra attenzione e i vostri feedback, sempre preziosi.
E adesso prendiamoci il nostro caffè, ma con ghiaccio, please!
Un brand globale ha un impatto locale, sia per le connessioni con la propria clientela che per la presenza di fornitori e per i rapporti con la comunità. Ne ho parlato con Francesca L'Abbate, Sustainability Manager Itala H&M, per capire meglio obiettivi e strategie del brand in questo momento di grandi cambiamenti. Abbiamo parlato di EPR, di sovrapproduzione e di invenduti, ma anche di impatto sociale.
Potete ascoltare l'intervista a questo link, su Spotify o sulle principali piattaforme audio.
Da leggere:
Ed eccoci al momento dei saluti. L’estate è il momento in cui cercare di pensare anche un po’ a sè stessi, nonostante le ferie siano sempre troppo brevi. In ogni caso le lunghe giornate ci spingono a cambiare le abitudini, anche se abbiamo passato la giornata al lavoro. Ricordatevi di stare di più con voi e con chi amate e di esercitarvi a stare un po’ lontani dai social e dal web. Cercherò di seguire anche io questo consiglio, anche se mi serve un po’ di tempo per mettere a punto le (tante) novità per la prossima stagione.
Scrivetemi, mi raccomando: silvia@solomodasostenibile.it
Grazie, buone vacanze!