Il processo di produzione tessile è composto da tante fasi di lavorazione diverse. Dalla materia prima al tessuto finito, ci sono numerosi step che trasformano il materiale e in ognuna di queste fasi ci sono degli scarti di lavorazione. Forse pensate che vi abbia detto una banalità, ma se vi chiedo quanti sono questi scarti e se i volumi possono essere controllati e gestiti, sapete rispondermi?
Questi materiali vengono definiti “Post industrial textile waste”, anche secondo le normative europee. Fino a poco tempo facevano parte di una categoria più ampia, quella del pre-consumer. Secondo i nuovi orientamenti, i materiali pre-consumer sono di fatto solo le merci invendute, già preparate ed assemblate, pronte per andare sul mercato. Si tratta di capi di abbigliamento che non sono mai stati messi in vendita perché sono cambiate le tendenze o le stagioni, o perché prodotti in quantità eccessiva; oppure si tratta di capi che sono andati sul mercato ma non sono stati venduti. Non si tratta di materiali pronti per essere riusati o riciclati: devono essere disassemblati, si deve fare una selezione delle varie componenti, è necessario insomma un lavoro che può anche essere molto impegnativo. E se il valore dei materiali che si vanno a recuperare non è interessante, è molto complicato che questo lavoro venga effettuato.
Il pre-consumer è una categoria ben diversa da quella del post industrial textile waste: in questo caso si tratta di materiali semilavorati, che vengono scartati perché così è previsto dal normale processo di lavorazione (ad esempio le cimose), oppure possono essere scartati perché difettati o sbagliati. Questi materiali possono essere riutilizzati con maggiore semplicità: in questo caso si tratta di capire se sono monofibra o in ogni caso valutare la loro composizione per trovare la giusta destinazione, ma hanno anche innegabili vantaggi:
innanzitutto sono tracciabili, perché si hanno informazioni sulla filiera che li ha prodotti e anche sulle materie prime (almeno si dovrebbe);
sono stati realizzati seguendo la normativa chimica in vigore e quindi non ci si devono aspettare sorprese (la stessa cosa non si può dire per il post-consumo);
non sono stati assemblati e quindi possono essere inseriti in un mercato della materia prima seconda con relativa facilità (a condizione che ci sia un mercato interessante per quel tipo di materiale).
Come vi avevo anticipato nella newsletter di sabato, questa è la ricerca che ho iniziato e di cui ho parlato a “ITechStyle Summit” a Porto la scorsa settimana. Ho necessità di mappare un numero maggiori di realtà. Se siete disponibili a darmi informazioni sugli scarti che producono le vostre aziende, potete scrivermi direttamente a silvia@solomodasostenibile.it oppure rispondere qui sotto.
In questo numero del MAG parleremo di:
SOMMARIO
Quanti sono gli scarti tessili post industriali?
Quali sono gli scarti più comuni del processo tessile?
Il valore dei sottoprodotti sul mercato
Riuso e riciclo prima di tutto
Strategie di eco-design: cosa dice l’Europa
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