Giugno e luglio sono sempre stati per il tessile i momenti di lavoro più intenso, quelli in cui non si smetteva mai di lavorare. Quest’anno il caldo è arrivato ma le fabbriche sono abbastanza silenziose. Girare per i distretti significa fare i conti con la delusione per gli ordini mancati e un futuro che sembra sempre più incerto. Ogni imprenditore o imprenditrice che incontro mi racconta della sue difficoltà, ma condivide anche la preoccupazione per qualche suo fornitore in condizioni peggiori. C’è tanta umanità in queste storie, c’è resilienza, anche coraggio, ma tanta stanchezza. L’impresa è un progetto di vita per queste persone, un investimento materiale e umano che mette l’azienda al centro di tutto. Ripartiamo da lì, dal sogno, dalla voglia di creare qualcosa di bello e di buono, che è la spinta quotidiana di ogni imprenditore o imprenditrice.
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Per questo voglio raccontarvi la storia di Jacob Long, un imprenditore americano che a un certo punto della sua vita ha deciso di abbandonare la finanza per acquistare un lanificio in Connecticut, facendone la missione della sua vita. Era il 2014 quando Jacob ha acquistato la American Woolen Company, fondata nel 1899 a Stafford Springs, in Connecticut. La filiera interna della lana negli USA è quasi estinta: meno di cinque lanifici in grado di filare filati, tessere tessuti e fare il finissaggio sono ancora operativi. E l’azienda di Jacob è una di queste.
La fabbrica aveva 45 mila metri quadrati di spazio produttivo, 40 telai ad alta velocità, oltre a macchinari per la filatura e un orditoio di fabbricazione tedesca costato 300.000 dollari. Long ha acquistato lo stabilimento da Loro Piana, che aveva chiuso la fabbrica dopo 25 anni di attività. L’azienda italiana aveva investito più di 30 milioni di dollari nell'operazione per modernizzare i macchinari e fece arrivare dall'Italia un ingegnere tessile per formare i lavoratori locali e gestire lo stabilimento. L’idea era quella di produrre tessuti di altissima qualità in USA, per il mercato americano. Ma produrre tessuti pregiati con un know how made in Italy, ma in USA non è stata una idea brillante: per il consumatore americano del lusso un tessuto prodotto in Italia ha senza dubbio più valore.
E cosi la American Woolen Company 11 anni fa ha riaperto le sue porte. Dopo pochi anni di attività qualche brand statunitense contattato da Jacob gli aveva consigliato di realizzare tessuti dal design italiano, prodotto in USA ma a un prezzo cinese. E allora Jacob decise di cambiare strada.
Si è concentrato sulla produzione di tessuti pesanti, seguendo la tradizione del New England, facendo di questo il suo punto di forza. E le cose hanno iniziato a cambiare: prima sono arrivate le commesse dell’esercito per tessuti per cappotti, poi le coperte di lana. In seguito sono arrivati anche brand più piccoli, interessati alla produzione Made in USA, come Duckworth, che trasforma la lana ricavata dal proprio allevamento nel Montana, in giacche e camicie di flanella.
Dopo anni di tentativi e di insuccessi, Jacob Long è riuscito a concretizzare la sua visione: la sua fabbrica lavora a pieno ritmo, forse non fa ricavi stellari, ma per un imprenditore che realizza il suo sogno, la soddisfazione di vedere concretizzato il proprio progetto non ha prezzo.
EURATEX CHIEDE ALLA COMMISSIONE UNA SEMPLIFICAZIONE DELLA EPR
Sono sette le associazioni di rappresentanza dell’industria che, insieme a Euratex, hanno indirizzato una lettera alla Commissione Europea, con la richiesta di semplificare i regimi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). La preoccupazione è che la proliferazione di regimi EPR separati per diversi flussi di rifiuti, compresi i tessili, previsti da ogni Stato membro creino una frammentazione che potrebbe portare a una maggiore complessità e a maggiori costi per le imprese che operano in tutta l'UE. Secondo le organizzazioni le norme nazionali frammentate creeranno fino a 108 processi paralleli di conformità EPR per le aziende impegnate nel settore degli imballaggi, dell'elettronica, delle batterie e dei prodotti tessili.
Nella lettera si sottolinea la necessità di semplificazione, digitalizzazione e armonizzazione dei regimi EPR. L'obiettivo è creare un sistema più efficiente che riduca gli oneri amministrativi e i costi di conformità per i produttori, garantendo anche un'efficace gestione dei rifiuti e il recupero delle risorse.
La soluzione potrebbe essere la creazione di una piattaforma digitale che funga da interfaccia centrale tra i produttori e i regimi EPR. Questo livello digitale consentirebbe agli Stati membri di mantenere i loro quadri normativi esistenti, fornendo allo stesso tempo una piattaforma standardizzata per la conformità. La coalizione sottolinea inoltre l'importanza di collaborare con le autorità nazionali per garantire un'attuazione coordinata ed efficace dei regimi di EPR.
L'appello alla semplificazione si inserisce nel contesto della revisione in corso della Direttiva quadro sui rifiuti e dell'introduzione di nuovi regimi di EPR per il settore tessile. Le associazioni di settore temono che l'approccio attuale possa portare a un mosaico di diversi regimi di EPR, creando inutili complessità e ostacolando la transizione verso un'economia circolare.
“SCALING CIRCULAR BUSINESS MODELS”, LA NUOVA GUIDA DI ELLEN MACARTHUR FOUNDATION
Ellen MacArthur Foundation ha appena presentato la nuova guida “Scaling circular business models”, elaborata all’interno del progetto “The Fashion ReModel”. Si tratta di uno strumento interessante, perché mette a disposizione una serie di informazioni e tool che possono essere utili per concretizzare il proprio business circolare.
Per passare dai generici progetti pilota a quelli su larga scala, le aziende devono integrare modelli di business circolari nella loro strategia aziendale principale. I modelli di business circolari hanno maggiori probabilità di successo se personalizzati e integrati nel contesto aziendale. Su larga scala, i modelli di business circolari rappresentano un'opportunità per migliorare le performance finanziarie e raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette.
La guida fornisce alcuni consigli pratici per agevolare l’affermazione all’interno delle aziende di questo nuovo approccio:
Coinvolgere il team finanziario
Nominare un responsabile per il modello di business circolare esterno al team della sostenibilità
Istituire gruppi di coordinamento interfunzionali
Ottenere il consenso del top management
Sfruttare le competenze di altri team
Questo naturalmente può essere fatto in aziende di medie dimensioni dove c’è una organizzazione complessa e dove ci sono funzioni diverse. In generale però vale il consiglio di rendere il progetto circolare un tema aziendale e non solo una sfida delle persone che si occupano della sostenibilità.
I modelli di business circolare devono poi diventare anche un tema finanziario all’interno dell’azienda: si devono stabilire obiettivi di budget, migliorarne la redditività. Altrimenti si rischia di far rimanere queste azioni solo qualcosa di collegato al marketing e alla reputazione dell’azienda, mentre invece hanno una grande possibilità di trasformare l’impresa.
Le aziende spesso danno priorità alla stabilità del modello lineare: un modello concepito per operare con prodotti identici, stoccati in grandi quantità e con economie di scala consolidate. Tuttavia, il contesto in cui operano le aziende è in evoluzione. Le interruzioni della catena di approvvigionamento sono aumentate negli ultimi cinque anni e gli investitori stanno sempre più segnalando preoccupazioni riguardo ai rischi aziendali.
Mantenere i prodotti in uso attraverso modelli di business circolari può sostituire la necessità di nuova produzione, riducendo gli impatti negativi sulla biodiversità e sul clima associati alla produzione, alla lavorazione e allo smaltimento delle fibre vergini. La mitigazione del rischio associata ai modelli di business circolari può essere direttamente collegata al business.
Ellen MacArthur Foundation, con il contributo del NYU Stern Center for Sustainable Business, ha individuato sette aree chiave di beneficio e oltre 50 parametri che possono essere utilizzati per quantificare il valore e l'impatto dei modelli di business circolari odierni.
Le aziende leader stanno spostando i loro parametri di successo oltre il profitto a breve termine per abbracciare i vantaggi strategici a lungo termine dei modelli di business circolari. Alcuni parametri indicano chiaramente il valore finanziario (monetario). Altri benefici sono legati alle prestazioni aziendali complessive (non monetarie). Che si tratti di processi decisionali o di evoluzione degli Indicatori Chiave di Prestazione (KPI), l'impatto quantificato è essenziale per coinvolgere gli stakeholder interni. (qui potete trovare i 50 indicatori)
Pensateci mentre bevete il vostro caffè! Buon weekend
PS: Non mi sono dimenticata di raccontarvi della legge francese contro l’ultra fast fashion, ma sto preparando un approfondimento che uscirà sul blog nei prossimi giorni ; )
In principio fu YOOX: questa storia potrebbe iniziare così. Moda e innovazione tecnologica si incontrano 25 anni fa in questa piattaforma, un progetto nato dall’idea di Federico Marchetti, che lo ha portato al successo. Oggi è presidente della Task Force sulla moda all’interno della Sustainable Markets Initiative a fianco di Re Carlo III. Moda e innovazione si incrociano in questa storia straordinaria che Federico Marchetti mi ha raccontato nell’intervista di questo episodio per podcast.
“YOOX è il risultato di un incrocio tra intuizione e passione. Tra ragione e sentimento. Giravo intorno ad un’idea, la inseguivo ma non la trovavo. Poi ho ristretto il cerchio, ho eliminato tutte le aree che non mi interessavano e mi sono concentrato sulle cose che mi piacevano, quelle dalle quali ero attratto e incuriosito. Era il 1999, avevo lasciato gli Stati Uniti dove avevo appena conseguito un MBA alla Columbia e dove avevo capito che Internet sarebbe decollato. Non sapevo ancora come trasformarlo in un business ma sapevo che sarebbe stato la porta per il futuro, la strada per cambiare il mondo e le nostre abitudini”
Così Federico Marchetti ha sintetizzato la genesi di Yoox che potete leggere nel libro “Le avventure di un innovatore”: una storia che corre parallela all’evoluzioni del sistema della moda, alla nascita degli e-commerce, alla rivoluzione digitale, che ha travolto l’industria del fashion e ha cambiato il nostro modo di consumare.
Poi l’avventura con YOOX si è conclusa, per dare spazio alla nascita di un nuovo impegno, nel campo della sostenibilità. Oggi Federico Marchetti è presidente della Task Force sulla moda all’interno della Sustainable Markets Initiative, con Re Carlo e alcuni importanti brand del lusso. Un impegno che si sostanzia in progetti concreti, perché di questo abbiamo bisogno.
“Alla transazione sostenibile servono molte cose: imprenditori coraggiosi, una legislazione che imponga scelte stringenti e una visione che non si fermi al giorno dopo e pensi davvero al futuro. Se ragioniamo solo su quello che vediamo o che siamo in grado di cambiare domani, rischiamo di scoraggiarci. Ma il futuro è fatto di grandi scelte, di innovazione che a volte ha bisogno di anni per mostrare appieno i suoi risultati.” Così Federico Marchetti segnale che oggi nella moda c’è bisogno di “capitani coraggiosi”, in grado di rendere concreto il cambiamento.
L’impegno Task Force sulla moda all’interno della Sustainable Markets Initiative
“Noi della Fashion Task Force stiamo lavorando sull’agricoltura rigenerativa. Abbiamo due progetti importanti che hanno già dato dei risultati e che riguardano due fibre naturali. Il primo è una produzione di cashmere sull’Himalaya con Brunello Cucinelli che ha avuto come risultato un filato meraviglioso, il secondo riguarda una coltivazione di cotone in Puglia voluta e finanziata da Giorgio Armani. Due iniziative che aiutano non solo a produrre materie prime di altissima qualità, totalmente organiche in tutto il percorso ma anche di ridare lavoro a popolazioni dove queste attività non venivano più svolte da anni”. Progetti ambizioni, che hanno come obiettivo quello di ridurre l’impatto ambientale delle moda, attraverso un nuovo patto di collaborazione tra comunità e industria, dove ognuna delle parti riesce a svolgere il proprio lavoro in maniera equa. Un percorso complicato, che però adesso può essere implementato. Perché c’è il “momento giusto” anche per le innovazioni: nè troppo presto, nè troppo tardi. Come si fa a riconoscere quando è l’ora di agire? Federico Marchetti e io abbiamo parlato anche di questo nell’intervista che potete ascoltare al link qui sotto.
Da leggere
Cosa significa “innovazione” nella moda di oggi? - NSS Magazine
M&A, dopo il consolidamento della filiera ora il focus è sul rilancio dei brand - Pambianco News
La liquidazione di Hudson's Bay, o il collasso del più antico impero commerciale canadese - Fashion Network
Seconda fase del RENTRI, la tracciabilità dei rifiuti diventa obbligatoria per le piccole imprese - Economiacircolare.com
La Francia si conferma prima destinazione del menswear made in Italy - Fashion United
La prossima settimana ci sarà Pitti Uomo, inizia la stagione delle fiere. Sono numerosi gli eventi collaterali previsti: ZeroW a Villa Biagiotti organizza una serie di talk e workshop dedicati alla circolarità. Io parteciperò a un talk il 19 giugno alle 16. Se volete vedere il programma completo, dovete andare sulla loro pagina Linkedin.
Eccoci ai saluti: oggi ho scritto troppo, perdonatemi! Scrivetemi se non ne avete abbastanza di me: silvia@solomodasostenibile.it
'L’idea era quella di produrre tessuti di altissima qualità in USA, per il mercato americano. Ma produrre tessuti pregiati con un know how made in Italy, ma in USA non è stata una idea brillante: per il consumatore americano del lusso un tessuto prodotto in Italia ha senza dubbio più valore.' In questo paragrafo l'assurdità del mondo della moda e del tessile. Perché diamine un prodotto di altissima qualità dovrebbe essere migliore in un posto piuttosto che in un altro? E' come il quesito: pesa più un kg di paglia o un kg di piombo? Come pensiamo di ridurre l'impatto della produzione moda se si ragiona così? E poi vendere all'esercito come soluzione al fallimento? Noooooo. Vendiamo alla forestale piuttosto.