Che piacere ritrovarvi, mi sono mancate le nostre chiacchiere del sabato mattina, anche se ogni tanto fa bene prendersi anche una pausa!
Vi accolgo subito con una novità: da oggi potete anche ascoltare la newsletter, su Spotify, Spreaker e le principali piattaforme audio. Il programma si chiama “Solo Moda Sostenibile Weekly”. Ho voluto accontentare tanti di voi che mi hanno chiesto di avere la possibilità di ascoltare la newsletter durante il tragitto per andare al lavoro. Spero di riuscire a rispettare questo nuovo appuntamento, il tempo è sempre tiranno!
Ma torniamo a noi. L’industria della moda italiana sta attraversando un momento molto complicato, lo sapete meglio di me. Tutta l’industria della moda è in crisi, in realtà, in queste settimane ho percepito la delicatezza della situazione: in genere l’anno si chiude con tanti articoli su com’è andata e liste sulle cose che accadranno nel 2025. Il mondo della moda vive sempre con euforia i nuovi inizi. Quest’anno, invece, nessuno ha tentato di fare previsioni, nemmeno la stampa di settore che possiamo ritenere meglio informata, perché la verità è che nessuno sa cosa ci aspetta. In compenso sono usciti tanti articoli farciti di numeri sull’andamento del mercato, che forse dovevano servire ad ancorarci alla realtà: ma tutte le imprese hanno i piedi ancorati a terra, nessun volo di fantasia. Il problema riguarda soprattutto le tante aziende della catena di fornitura, che di fronte a un periodo così prolungato di incertezza non sanno come reagire.
Parliamo di 53 mila imprese (il 13% del manifatturiero italiano), di cui il 79% PMI. Il sistema produce il 5,1% del PIL italiano, con un valore aggiunto di 75 miliardi di euro e 1,2 milioni di addetti. Il 40% del valore aggiunto di filiera è prodotto dai settori principali: lavorazioni tessili, articoli in pelle, confezione di capi di abbigliamento.
La moda italiana nel 2023 ha esportato 65 miliardi di euro, il 10% dell’export nazionale; il 55% dei prodotti ha raggiunto mercati Extra UE. L’Italia è il primo produttore mondiale di alta moda, con il 29% dei fornitori dei gruppi europei e due terzi dei player del lusso che scelgono il nostro Paese per la loro produzione.
Questi dati li ho presi da un recente report della Cassa Depositi e Prestiti, dove si fotografa la situazione attuale (vi risparmio i dati sui cali di fatturato) ma ci sono anche alcuni spunti interessanti per guardare al futuro. Ve ne indico 3:
Alle produzioni Made in Italy viene riconosciuto un prezzo più alto rispetto a quelle dei maggiori Paesi competitor (a parità di prodotto): “nel 2022 i prodotti francesi sono stati venduti al 21% in meno, quelli inglesi al 47%, quelli tedeschi al 52% e quelli spagnoli al 61%”. Quelli cinesi all’87% in meno. Dovremmo cercare di riflettere su quale sia la ricetta magica del Made in Italy, chiederci fino a quando rimarrà nelle nostre mani e come possiamo preservarla. Io credo che un nostro punto di forza sia la mancanza di consapevolezza: ci sono aziende artigiane che fanno cose straordinarie e che pensano di fare un lavoro “normale”, che lo fanno con passione e competenza e che sentono ogni giorno di dover dimostrare ancora qualcosa. Quella spinta le rende uniche.
Come impatteranno i cambiamenti climatici sul settore? Secondo il report il 67% dell’export globale di cotone e il 52% di quello di abbigliamento, potrebbero subire impatti significativi a causa di eventi climatici estremi. E’ ora di prenderne atto e di agire.
Abbiamo bisogno velocemente di ricambio generazionale: il 76% delle aziende italiane di moda con un fatturato superiore ai 20 milioni di euro è proprietà familiare e il 30% di queste è gestito da imprenditori over 70. Per non parlare della manodopera artigianale: ogni anno si perdono 7 mila figure tecniche a causa dell’invecchiamento. C’è bisogno di rinnovamento per mantenere il nostro primato.
Perché vi ho dato questi numeri? Secondo me le aziende che lavorano nelle filiere devono avere maggiore coscienza del loro valore. Tutto questo sistema sta in piedi grazie al loro impegno: per un piccolo imprenditore superare un calo di lavoro di oltre il 50% che si prolunga per mesi, richiede doti finanziare e capacità di leadership non indifferenti. Quando il lavoro non arriva per tanto tempo, devi avere da parte i soldi per poter pagare i dipendenti e non mettere sul lastrico intere famiglie. Devi essere stato così bravo da aver accantonato risorse in un sistema che quando c’è tanto lavoro, ti chiede di lavorare a prezzi sempre inferiori e quando il lavoro non c’è non ti sostiene in alcun modo e ognuno deve arrangiarsi come può. Stiamo parlando di imprenditori e imprenditrici che navigano in qualsiasi mare li metti e riescono in qualche modo a far quadrare i conti. E lo fanno da soli: non li aiutano i brand, non li aiuta il Governo.
C’è però uno strano atteggiamento che li anima: quando c’è poco lavoro, l’imprenditore sente di non aver fatto abbastanza, che è un po’ colpa sua. Anche se tutto il mondo sta seguendo delle regole sconosciute. In questo momento così difficile dovrebbe essere normale incontrarsi all’interno dei distretti, riflettere sulle prospettive, condividere esperienze, trovare tutti insieme una via d’uscita, perchè il problema è lo stesso per tutti. Invece gli imprenditori e le imprenditrici sono chiusi nelle aziende a fare i conti con le loro difficoltà.
E’ proprio questo il maggior ostacolo alla trasformazione del settore in Italia: essere tanti, ma sentirsi sempre soli, senza voce. Per il 2025, spero che le imprese della filiera riusciranno a intonare una bellissima canzone tutte insieme.
PFAS E CIRCOLARITA’ La presenza di PFAS nei tessili può costituire un ostacolo al loro riuso e riciclo, e quindi alla circolarità? La risposta è positiva, secondo l’Agenzia Europea per l'Ambiente.. I tessili assorbono circa il 35% della domanda globale totale di PFAS, che possono essere rilasciati durante la vita di un prodotto, anche durante il lavaggio dei tessuti.
L’uso e la presenza di queste sostanze nel settore tessile presenta alcune sfide per il passaggio a un’economia tessile più circolare in Europa.
E’ importante trovare alternative sicure e sostenibili, ma, in ottica di circolarità, è anche importante trovare soluzioni per la gestione del fine vita dei prodotti che li contengono. Per questo l’Agenzia Europea per l’Ambiente consiglia di tracciare la presenza dei PFAS prima e durante l’uso dei prodotti.
Un capo a fine vita ha perso tutte le informazioni disponibili sul contenuto di queste sostanze e l’esecuzione di analisi chimiche per identificarli è costosa e generalmente non fattibile. Un'opzione potrebbe essere quella di stabilire procedure per l'identificazione visiva e lo smistamento dei tessili che potrebbero contenerli. Sebbene ciò non richieda investimenti significativi in attrezzature, richiede risorse per le ispezioni manuali. È inoltre altamente incerto se i risultati sarebbero efficaci poiché è molto difficile identificare i tessili contenenti PFAS mediante ispezione visiva.
Secondo l’Agenzia una soluzione più praticabile sarebbe quella di sviluppare procedure di smistamento semiautomatiche o completamente automatizzate basate su soluzioni di informazione digitale sulla loro presenza (come il DPP) o basate su macchine a fluorescenza a raggi X. Tuttavia, l’implementazione di tali sistemi su larga scala negli impianti di trattamento dei rifiuti comporterebbe costi elevati.
Quando vengono identificati tessuti contenenti PFAS nei rifiuti tessili, le due opzioni principali per rimuoverli includono: (1) la distruzione dell'intero prodotto o (2) lo smistamento e la rimozione dei componenti contaminati dal prodotto per la distruzione separata. Quest'ultimo, pur essendo tecnicamente ed economicamente impegnativo, massimizza il recupero dei tessili.
Secondo l’EEA esistono sul mercato alternative che possono essere utilizzate nella produzione dei capi di abbigliamento. Ad oggi non ci sono sostitutivi per alcuni prodotti tessili speciali, come alcuni tipi di dispositivi di protezione individuale (ad esempio, per i vigili del fuoco) e tessili tecnici.
La relazione dell’Agenzia Europea per l’Ambiente conclude affermando che andrebbe evitato il riciclo di capi di abbigliamento contenenti PFAS: per fare questo è necessario implementare un sistema di tracciabilità delle sostanze più accurato, lavorare sulla separazione dei materiali, individuare soluzioni alternative di smaltimento.
Ma oltre a questo, la Commissione afferma un principio che sta seguendo quando si parla di circolarità dei tessili: la presenza di alcune sostanze chimiche all’interno di un capo ne ostacola il riciclo e deve prevalere l’interesse a immettere sul mercato prodotti “puliti”, garantendo così che nel giro di qualche anno siano eliminate. Per la gestione dell’enorme massa di abiti usati, dovranno essere trovate soluzioni diverse.
REVISIONE DELLA DIRETTIVA SULLE ACQUE REFLUE La revisione della direttiva UE sul trattamento delle acque reflue potrebbe costare all’industria francese dei cosmetici 1 miliardo di euro all’anno. Gli operatori francesi, guidati da L'Oréal, stanno prendendo posizione contro la legislazione che, a loro avviso, non affronta i settori più inquinanti. La nuova versione della direttiva europea del 1991, entrata in vigore il 1 gennaio 2025, è percepita come un duro colpo al settore. Sono stabiliti pesanti tasse sull’industria dei cosmetici sulla base del principio “chi inquina paga” implementato come parte del regime di responsabilità estesa del produttore (EPR). L’UE ha identificato sette inquinanti attivi scaricati dagli impianti di trattamento delle acque reflue in Europa, alcuni dei quali attribuiti a creme solari e prodotti idratanti. La Francia, il principale produttore europeo di cosmetici, è particolarmente preoccupata.
L’INCENDIO DI KANTAMANTO Il mercato di abiti usati di Kantamanto in Ghana, il più grande del mondo, ha preso fuoco la scorsa settimana. Oltre due terzi del mercato è andato distrutto, mettendo in grave difficoltà 8 mila operatori che traggono da questa attività il loro principale sostentamento. Se avete visto “Stracci”, avete potuto ascoltare l’intervista a Liz Ricketts, direttrice di The OR Foundation, che si impegna da anni per creare a Kantamanto un polo della circolarità. Se volete dare il vostro contributo, potete leggere nel post le info per fare una donazione.
Adesso vi lascio al vostro caffè. E’ stato un piacere ritrovarvi, pronti per un nuovo anno!
Da leggere:
L’ascesa della boutique di moda di seconda mano - NSSMagazine
I dirigenti di Shein si rifiutano di fare luce sulle accuse di lavoro forzato - Repubblica Green & Blue
Export in calo del 10 per cento per la pelletteria nei nove mesi - Fashion United
Ogni città si veste a modo suo - Rivista Studio
2025: quali nuove norme per la moda europea? - Fashion Network
Si svolgerà il 17 e il 18 gennaio al Museo del Tessuto di Prato un interessante seminario dedicato alla storia degli scarti tessili dal Rinascimento ad oggi. Venerdì sarà presentato un progetto di ricerca delle Università di Firenze, Padova e Verona, che ha indagato l’uso degli scarti tessili nel Rinascimento e il mercato delle materie prime seconde.
Sabato 18 dalle 10 alle 12 il confronto si sposta ai giorni nostri: modererò una tavola rotonda dedicata agli scarti tessili lanieri. Ne parlerò con gli imprenditori Francesco Truscelli, Gabriele Innocenti, Sauro Guerri, Federico Gualtieri (nel post sopra potete vedere il programma completo).
Recuperare le risorse, evitare lo spreco, è un concetto che ha radici lontane, che negli ultimi decenni abbiamo forse dimenticato, ma che può invece essere una grande occasione di crescita!
Questo 2025 è iniziato con tanti nuove idee. Innanzitutto presto tornerà anche il MAG, la newsletter di approfondimento che ogni mese affronterà un tema diverso. Abbonandovi al MAG potrete anche avere accesso all’archivio completo della newsletter, oltre a sostenere il mio lavoro (thanks!!). Vi tengo aggiornati sulle prossime uscite.
Sto lavorando anche a una serie speciale di episodi del podcast dal titolo “La voce dei distretti”: ogni episodio raccoglierà testimonianze di imprenditori e imprenditrici di uno dei territori manifatturieri dedicati al tessile, alla moda, alla pelletteria, alle calzature, per raccontare come il settore sta cambiando e condividere anche belle storie. Se volete partecipare, scrivete a silvia@solomodasostenibile.it
Per oggi mi fermo qui, vi ho preso davvero troppo tempo per questo primo appuntamento dell’anno!