Avrei potuto fare un sondaggio che probabilmente mi avrebbe confermato che l’adozione della EPR tessile è una delle azioni più attese per il 2025 da voi che mi leggete. L’Unione Europea è andata in confusione, a livello italiano forse qualcosa si sta muovendo, ma nemmeno con una palla di vetro si potrà scoprire quando tutto sarà pronto per il lancio. Intanto ci sono aziende, consorzi, associazioni (la normativa toccherà tantissimi soggetti) che da mesi sono pronti ai nastri di partenza per fare lo scatto iniziale e iniziare la corsa, ma nessuno dà il via alla gara. E, com’è normale che sia, c’è un po’ di stanchezza. Anche perché il passare dei mesi non aiuta a chiarire le cose, anzi. Più passa il tempo e più si acquisisce consapevolezza di tutte le implicazioni, mentre anche altri Paesi affrontano lo stesso tema, e prendere una decisione è sempre più complicato.
Anche la OCSE (o OECD in inglese) ha voluto dare il proprio contributo e ha appena pubblicato un working paper su “Extended producer responsibility in the garments sector”. Mette in evidenza che ci sono tante organizzazioni che stanno lavorando sul tema delle EPR, ognuna con le proprie proposte. Ma di fatto l’unica esperienza che possiamo analizzare e che può fornire degli spunti di riflessione è quella francese, che ha adottato la Responsabilità Estesa del Produttore diversi anni fa.
OECD è molto cauta nell’affermare i benefici del riuso: vi ricordate che la gerarchia dei rifiuti ci dice che il riuso è un’attività da preferire a quella del riciclo per i suoi impatti ambientali? OECD non ne è così sicura: “esiste la possibilità che il riuso crei invece un effetto rebound, consentendo ulteriori sviluppi di consumo piuttosto che spostare la produzione primaria. Il riutilizzo genera impatti ambientali per il trasporto e la riparazione”. Insomma, i suoi benefici devono ancora essere dimostrati da LCA affidabili. Naturalmente il riferimento è alla massiccia esportazione in Paesi extra UE degli abiti usati. Tutto vero, ma così si va sgretolare una delle poche certezze sulle quali si basano i sistemi EPR.
Tornando all’esperienza francese, nel 2023 sono stati apportati dei cambiamenti importanti:
• Riuso: il regime coprirà i costi netti delle imprese sociali che facilitano il riutilizzo indumenti;
• Riparazione: il sistema fornirà alle famiglie un credito per la riparazione dei loro prodotti. Il credito verrà applicato direttamente alle famiglie come sconto sulla fattura della riparazione;
• Ecomodulazione: il regime ha introdotto un nuovo calendario di modulazione delle tariffe.
Ecco una proiezione dei risultati attesi
Mentre pochi Paesi si sono avventurati nell’adozione della EPR per l’abbigliamento (quella dei Paesi Bassi entrerà in vigore il 2025) ci sono invece più esperienze del settore di tappeti e materassi.
Di fatto la raccolta differenziata e la selezione di alcune categorie di prodotti, rende più semplice la gestione del fine vita e semplifica anche la standardizzazione delle procedure. Ma quando si parla di abbigliamento non c’è omogeneità nei prodotti e quindi l’accuratezza della selezione resta il principale ostacolo all’efficacia del sistema.
Lo schema EPR francese sostiene finanziariamente i selezionatori: questa è la categoria di costi più ampia per il sistema. Ad esempio, nel 2022 Re_fashion ha pagato 22,5 milioni di euro a 67 selezionatori autorizzati. C’è anche da dire che lo schema EPR francese si basa sue due tipologie di azioni: fornire ai consumatori gli strumenti per fare scelte consapevoli e ridurre il consumo di abbigliamento. E poi effettuare una selezione attenta dei materiali, per indirizzarli altrove. Non c’è quindi un approccio industriale al tema del riciclo e del riuso, che è invece quello che interessa a un Paese come l’Italia. Quindi è difficile che il modello francese possa essere ritenuto un modello valido per tutti.
Il report (che vi consiglio di leggere se vi interessa questo tema) conclude con 4 raccomandazioni, rivolte ai legislatori:
Creare degli standard che definiscano la differenza tra rifiuto tessile e riuso (e su questo i lavori sono in corso)
Adottare regolamenti per migliorare la composizione chimica dei prodotti. Ad esempio, eliminare la formaldeide. Questo potrebbe aumentare la riciclabilità dei prodotti, perché anche l’utilizzo di alcune sostanze chimiche è un ostacolo.
Incentivare i produttori ad informare i consumatori sul contenuto dei loro prodotti;
Prevedere incentivi economici per incoraggiare la domanda di riciclato. Qui si cita l’Italia che “sta considerando l’impatto che una riduzione dell’IVA potrebbe avere sulla promozione dell’integrazione del contenuto riciclato nei prodotti”.
I BRAND INCORAGGIANO IL SECONDO HAND? Direi proprio si, è anche nel loro interesse. E’ uscito un articolo del Time che approfondisce questo tema. Utilizzare modelli di rivendita, riparazione e noleggio serve a prolungare la vita degli indumenti, ridurre gli sprechi e ridurre l’impronta di carbonio. Queste strategie circolari potrebbero ridurre la necessità di nuova produzione di un terzo e ridurre le emissioni annuali di carbonio per i marchi premium e outdoor fino al 16% entro il 2040, secondo uno studio condotto lo scorso anno dagli analisti di Worldly. Secondo McKinsey, i modelli di business circolari, tra cui il noleggio di capi di abbigliamento, il re-commerce, la riparazione e la ristrutturazione, potrebbero consentire al settore di ridurre circa 143 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra entro il 2030.
Ecco perché sempre più brand del lusso e della fascia alta stanno avviando iniziative di “re-commerce”, che hanno due vantaggi: il primo è che ritirare un capo usato, ripararlo e poi rimetterlo in vendita significa anche allungare il valore di quel capo per il brand, anche dopo la prima vendita. Allo stesso tempo questo sistema è anche efficace contro il mercato dei falsi, che nel mondo del vintage sta diventando sempre più prolifico: acquistare un ben di lusso usato con la garanzia del brand che lo ha prodotto ne garantisce l’autenticità.
Il futuro sta qui, nel superamento del tradizionale concetto di business compro/vendo (e poi getto via) per andare ad allungare la vita dei prodotti fornendo nuovi servizi che creano valore per l’azienda, per il consumatore e per il sistema in generale. Se volete approfittare delle vacanze per approfondire il tema, potete leggere il libro “Circular Fashion Management” edito da Egea e curato da Francesca Romana Rinaldi, uscito un paio di mesi fa. Anche io ho collaborato a questo lavoro collettivo, che contiene tanti spunti interessanti.
I SALARI IN BANGLADESH SONO ANCORA UN PROBLEMA Vi avevo promesso qualche aggiornamento dal Bangladesh, dove la situazione è ancora molto complicata e le proteste scoppiate a luglio scorso non si sono ancora sopite. Il problema è principalmente collegato agli stipendi che vengono pagati ai lavoratori e alle lavoratrici del tessile e dell’abbigliamento, con un salario minimo fissato a un livello troppo basso.
La scorsa settimana il Consulente per il lavoro e l’occupazione del Bangladesh ha annunciato che i lavoratori dell’abbigliamento riceveranno un ulteriore aumento salariale del 4% a partire da dicembre 2024, in attesa di un nuovo salario minimo. Aggiunto all’incremento del 5% precedentemente annunciato dal comitato del salario minimo, l’incremento annuo totale dovrebbe essere pari al 9%. Ma per i sindacati non è sufficiente, perché il costo della vita nel Paese è salito tantissimo a causa dell’inflazione che ha raggiunto l’11%.
Il salario minimo è stato rivisto l’ultima volta in Bangladesh nel novembre 2023, quando il governo ha aumentato il salario di un lavoratore tessile entry-level da 8.000 BDT (66 dollari USA) a 12.500 BDT (104 dollari USA), con un incremento annuo del 5%. I sindacati avevano chiesto un salario minimo di 23.000 BDT (190 dollari USA), con un incremento annuo del 10%, ma la decisione finale si è invece avvicinata alla proposta avanzata dai proprietari delle fabbriche di abbigliamento. Ciò ha portato a massicce proteste a Dhaka che sono state accolte con brutali azioni della polizia che hanno portato all’uccisione di lavoratori e all’avvio di procedimenti penali contro i leader sindacali. La tensione resta alta, insomma.
Il settore dell’abbigliamento in Bangladesh spera che l’entrata in vigore della Due Diligence Directive della UE potrà rappresentare una svolta per l’industria dell’abbigliamento locale. La necessità di verificare il rispetto degli standard ambientali e sociali lungo la catena di fornitura, potrebbe rappresentare l’occasione di ripensare il modello industriale di questo Paese, che ha fatto del lavoro povero uno dei principali fattori di competitività.
SHEIN COLLABORA CON LE DOGANE USA Nel mese di settembre Biden ha annunciato nuove misure per ridurre quello che ha definito “l’uso eccessivo e l’abuso” di una legge commerciale di lunga data che consente alle spedizioni di basso valore di entrare negli Stati Uniti senza pagare dazi di importazione e spese di elaborazione. Conosciuta come la scappatoia de minimis, la disposizione commerciale consente ai pacchi con un valore inferiore a 800 dollari di entrare negli Stati Uniti con un controllo relativamente limitato. Negli ultimi dieci anni, il numero di spedizioni de minimis è esploso, da circa 140 milioni a oltre un miliardo, secondo una stima della Casa Bianca.
Shein è ritenuta una delle aziende che si approfitta maggiormente di questo meccanismo e infatti Biden aveva proposto delle nuove regole che impedirebbero alle spedizioni all’estero di prodotti soggetti alle tariffe USA-Cina di beneficiare della speciale esenzione doganale.
Ieri l’ufficio stampa di Shein ha fatto sapere di aver aderito al programma pilota sui dati della sezione 321 della Customs and Border Protection (CBP) degli Stati Uniti, che invita le aziende a presentare volontariamente ulteriori informazioni sull'importazione di pacchi e spedizioni che entrano negli Stati Uniti. Sottolineando il proprio impegno per “una rigorosa trasparenza”, Shein si è resa disponibile ad aiutare il CBP a prevenire l'ingresso di prodotti illegali o pericolosi nel Paese e accelerare la spedizione di pacchi legittimi di e-commerce di basso valore. La sperimentazione di 30 giorni si è conclusa ed adesso il CBP dovrà analizzare i dati.
E così è arrivato anche il momento del caffè. Ci ritroviamo nel 2025!
La moda può rallentare il proprio ritmo? Si può scegliere di fare business in maniera responsabile, valorizzando la qualità e l’estetica, invece che la quantità? Ne ho parlato con Dario Casalini, fondatore di Slow Fiber, in questo nuovo episodio del podcast: rallentare naturalmente si può, anzi si deve.
Potete ascoltarlo su Spotify, Spreaker, Apple Podcast sulle principali piattaforme audio oppure qui tramite il sito.
Da leggere
Corsa verso il nulla: perchè la moda costa così tanto nel 2024? - NSSMagazine
A gennaio parte l’obbligo della differenziata dei rifiuti tessili in Ue. L’Italia, capofila, attende l’Epr comunitario - Pambianco News
L’UE approva il regolamento per la riduzione degli imballaggi - The Map Report
Che fine ha fatto lo stile personale? - Rivista Studio
Si chiuderanno il 7 gennaio le iscrizioni al master di primo livello in “Ecofashion Design per la moda circolare e sostenibile” dell’Università di Firenze. Le lezioni si svolgeranno online nei giorni venerdì e sabato mattina, e inizieranno venerdì 31 Gennaio 2025. Saranno inoltre previste delle giornate in presenza in base a visite in azienda o partecipazione ad eventi, fiere o convegni, che verranno comunicate preventivamente.
Il Master è strutturato in 4 moduli e ogni modulo copre circa un mese (3 weekend di lezione e uno di pausa):
1) Ecodesign e valutazione della sostenibilità nel settore tessile e moda
2) Nuove tecnologie per la circolarità e tracciabilità del settore tessile e moda
3) Management della filiera sostenibile
4) Comunicazione strategica ed engagement
Io faccio parte del comitato scientifico e mi sto occupando di sviluppare il modulo di management della filiera moda sostenibile, che avrà un format molto speciale. Oltre alle lezioni teoriche, sarà arricchito dalle testimonianze di 5 manager della sostenibilità di vari brand, che approfondiranno tematiche specifiche e forniranno quindi anche un approccio operativo.
Si può partecipare all’interno master (soluzione che consiglio) oppure è possibile partecipare a un solo modulo. La prima scadenza per le iscrizioni è fissata al 18 novembre. Per maggiori informazioni potete scrivere a: master.ecofashiondesign@dida.unifi.it. Le candidature devono essere presentate seguendo la procedura alla pagina ufficiale Unifi.
Siete pronti per prendervi qualche giorno di pausa? Io li userò per fare qualche passeggiata e per trovare nuove idee per il nuovo anno. Niente liste di buone propositi per il 2025, voglio rompere la mia routine!
La newsletter tornerà sabato 11 gennaio.
Per farvi gli auguri quest’anno ho chiesto aiuto all’intelligenza artificiale, con la quale ho poca familiarità. Ho chiesto di creare un’immagine che mettesse insieme una fabbrica con dei telai e con un grande albero di Natale fatto di scarti tessili e che tutto questo si connettesse con il tema rigenerativo. Dopo un bel po’ di prove siamo arrivati qui.
Trovare l’equilibrio per far coesistere tutti questi aspetti è una bella sfida, ma se ci riusciamo il futuro della nostra industria sarà sicuramente luminoso. Come il vostro Natale. Vi auguro di trascorrere delle feste serene!