Sono molto contenta di ritrovarvi questa mattina, la settimana scorsa mi siete mancati. Ma ho avuto da fare e prima di salutarvi vi spiegherò meglio.
L’industria della moda non si ferma mai e, nonostante la pausa primaverile, sono accadute tante cose: c’è grande fermento nei brand e secondo me è anche un po’ sintomo di disorientamento. Forse nessuno è in grado di fare previsioni per i prossimi mesi e allora si mescolano un po’ le carte per trovare nuovi equilibri.
E nella catena di fornitura cosa succede? Sono tempi duri, gli ordini stentano ad arrivare, c’è molta preoccupazione lungo la filiera. Quando c’è lavoro, il mercato è vivace, gli ordini fioccano, brand e filiera sono contenti e tutto fila, i fornitori sono considerati dei partner e nessuno pensa a chiedere garanzie.Poi arriva il rallentamento e a un tratto brand e filiera diventano due isole, dove ognuno fa i conti con i suoi problemi. E’ nei momenti di difficoltà come questo che la logica del prezzo diventa preponderante ed è importante tenere gli occhi aperti. Per ridurre i costi si accetta di chiudere un occhio, a volte anche due.
Ma chi sono i fornitori, che tipo di rapporto possono instaurare con i loro committenti? E soprattutto, come è possibile verificare che non ci siano casi di sfruttamento, nel complesso gioco tra fornitori e subfornitori?
E’ importante verificare la reale capacità produttiva degli appaltatori per essere certi che non ci siano subfornitori occulti, perché qui si nascondono le irregolarità e lo sfruttamento. Se in un sopralluogo in un’azienda si trovano 3 macchine da cucire, il numero dei capi prodotti andrà calibrato ai macchinari, altrimenti è evidente che ci sono dei subfornitori. Senza una valutazione di questo tipo (che richiede anche persone competenti a fare i controlli) c’è sempre il rischio di dover fare i conti con brutte sorprese.
Come si classificano i fornitori? Ho fatto una ricerca tra le varie linee guida1. Nella filiera dell’abbigliamento ci sono agenti, buying office e fabbriche. Secondo Fair Wear, una delle certificazioni sulla filiera produttiva più accreditata, solo le aziende che sono luoghi produttivi possono essere considerati come fornitori, perché qui operano i lavoratori. E qui devono essere fatti i controlli:
il fornitore può essere la fabbrica principale: qui il brand acquista i capi finiti. Queste aziende si occupano di tutto, dall’acquisto dei materiali alla gestione della produzione
oppure ci sono i subcontractors, e in una catena complessa come quella dell’abbigliamento ci sono spesso. Il brand ha rapporti diretti con alcuni di loro, che però hanno a loro volta dei fornitori per i diversi step di produzione.
Secondo Fair Wear i subfornitori possono essere di 4 tipi:
autorizzati: i rapporti con i subappaltatori sono regolati da accordi per fornire capacità produttiva aggiuntiva;
autorizzati del "di supporto": si tratta di fabbriche che forniscono servizi specifici e che in ogni caso fanno parte di una filiera regolamentata.
Subappaltatori non autorizzati: sono inseriti nel processo di produzione senza che il brand ne sia a conoscenza o che abbia dato il suo consenso. Rappresentano un rischio significativo.
Agenti o intermediari: svolgono un ruolo nell'organizzazione delle transazioni tra brand, stabilimenti principali e subappaltatori. Coordinano soprattutto la produzione nei paesi in cui i marchi non dispongono di personale proprio.
Secondo le più recenti policy dei brand i fornitori devono dichiarare se si avvalgono di subfornitori, che possono essere eventualmente ispezionati. Ma questo può non essere sufficiente se non si fa anche una valutazione sulla loro capacità produttiva. Non è escluso che un subfornitore si appoggi a sua volta a un’altra azienda: l’allungamento della filiera serve a rendere più difficile seguire tutti gli step.
Fair Wear ad esempio richiede che dei fornitori siano anche rilasciate informazioni sul valore della produzione (es. dati FOB) e la percentuale della capacità produttiva della fabbrica utilizzata dal fornitore. In questo modo è possibile fare un’analisi per capire se è verosimile che quel fornitore o subfornitore non nasconda altri luoghi produttivi, dove effettivamente è fatta parte della produzione, senza rispettare le regole.
Non è una valutazione semplice da fare e probabilmente non potrà nemmeno essere sempre esatta: ma senza questo tipo di approfondimenti ci sarà sempre il rischio che la filiera nasconda situazioni di sfruttamento. Torno a dire che questo tipo di valutazioni devono essere fatte da persone esperte del settore: audit generici non servono a molto.
LA FRANCIA SI AVVIA VERSO IL BANDO DEI PFAS
E stato adottato giovedì dall'Assemblea nazionale francese il disegno di legge contro la proliferazione dei PFAS. Con qualche critica: è meno ambizioso di quanto inizialmente proposto. L’uso dell'intera famiglia dei PFAS non sarà vietata.
Sono stati esclusi i prodotti utilizzati per le pentole, i prodotti fitosanitari e gli imballaggi alimentari. La SEB, che produce le padelle Tefal, nei giorni scorsi aveva dichiarato che il divieto all’uso di queste sostanze nella produzione delle pentole avrebbe costretto l’azienda a 3 mila licenziamenti; i lavoratori sono scesi in piazza e il divieto per il settore è sparito.
Secondo il disegno di legge dal 1° gennaio 2026 sarà vietata, la produzione, l'importazione e la vendita di qualsiasi prodotto cosmetico, prodotto a base di cera (per sci); dal 1° gennaio 2030 il divieto sarà esteso a ogni prodotto tessile per abbigliamento contenente PFAS, ad eccezione degli indumenti protettivi per i professionisti della sicurezza e della sicurezza civile (come ad esempio le tute dei vigili del fuoco).
Il disegno di legge passa ora al Senato.
L’eliminazione dei PFAS è una sfida di grande importanza per l’industria mondiale e i danni prodotti da queste sostanze sono sotto gli occhi di tutti. ChemSec ha realizzato una campagna informativa rivolta ai consumatori con un’ampia serie di grafiche utilizzabili per la disseminazione e anche dei video che cercano di spiegare il tema in modo semplice. Ne trovate uno qui.
Se volete capire meglio cosa sono queste sostanze e quale è il loro impatto sulla moda potete ascoltare l’episodio del podcast con Giuseppe Ungherese, autore del libro “PFAS, gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua”, che vi consiglio di leggere.
QUESTA VOLTA PROTESTANO I RICICLATORI INGLESI
A volte questa newsletter sembra un romanzo a puntate, dove ci aggiorniamo su normative in evoluzione o su movimenti in corso, seguendoli step by step. Nell’ultima newsletter vi avevo parlato della protesta dei riciclatori olandesi, che ritengono il sistema ormai insostenibile. Adesso anche i riciclatori inglesi hanno lanciato il loro grido d’allarme.
Secondo la Textile Recycling Association (TRA) il settore del riciclo tessile è sull’orlo del collasso. Si tratta della principale associazione di categoria che rappresenta oltre il 75% dei raccoglitori e selezionatori di tessili usati del Regno Unito. La TRA ha raccolto i feedback dei suoi membri e ha deciso di lanciare l’allarme.
Il problema è sempre lo stesso: l’ incapacità di raccogliere i tessili dai negozi di beneficenza e dai centri di riciclaggio a causa dei limiti di capacità degli impianti di lavorazione. C’è troppo materiale, come spiegavano, dati alla mano, anche gli olandesi. La Textile Recycling Association (TRA) del Regno Unito chiede al governo di introdurre norme simili a quelle portate nell’UE nel tentativo di evitare “l’imminente collasso del settore del riciclaggio tessile”.
La preoccupazione è anche alimentata da quello che sta accadendo in Europa: in un comunicato stampa l’associazione fa notare che l’imminente divieto di esportazione dei tessili usati potrebbe portare all’interruzione delle operazioni di raccolta e selezione.
Da qui la richiesta al Governo del Regno Unito di regolamentare il settore e introdurre uno schema di responsabilità estesa del produttore (EPR) che garantirebbe che le aziende si assumano maggiori responsabilità per ciò che accade ai loro prodotti quando non sono più in commercio o in uso.
Il regolamento dovrebbe prevedere l’ecocontributo “per la raccolta, lo smistamento e il riciclaggio dei prodotti tessili nella speranza che alla fine inizieranno a produrre articoli più facili da riciclare”.
Insomma, mi sembra che il coro di voci sia unanime: la normativa EPR per i tessili non è più rimandabile. Queste forti spinte, però, ci fanno anche capire quanto sia importante per il settore, ma deve essere davvero efficace e non creare ulteriore caos. Deve essere ben ponderata, perché ogni Paese ha la sua realtà. Ma di questo parleremo nella prossima puntata!
Intanto buon caffè, fino a quando potremo permettercelo: cosa sapete sulla normativa europea contro la deforestazione?
Buon weekend
Da leggere:
Caporalato, Giorgio Armani operations in amministrazione giudiziaria - Il Sole 24 Ore
Nella moda trovare chi sa cucire è diventata un’impresa - Il Post
Quali sono le professionalità dell'industria tessile e quanto guadagnano - Fashion United
L'inquinamento da palle da tennis è un problema, ma c'è chi lavora per risolverlo - Repubblica Green & Blue
Vi sto scrivendo dal mio nuovo spazio, che ho chiamato SMS LAB. Voglio ringraziare coloro che stanno inviando i propri materiali per arricchire il mio archivio: mi piacerebbe che diventasse un punto d’incontro in cui condividere esperienze nuove, sviluppare idee, farsi contaminare dal cambiamento. Se passate da Prato, siete i benvenuti; se siete di Prato, venite a trovarmi!
Se ancora non l’avete fatto, potete inviare i vostri materiali a SMS LAB - Via Magnolfi, 35 - 59100 Prato.
Sto lavorando a un calendario di incontri per piccoli gruppi, su temi specifici, per parlare di novità ma anche per condividere qualche dubbio. Se avete qualcosa da proporre o c’è un tema che vorreste approfondire, scrivete qui sotto.
Anche per oggi mi fermo qui. Alla prossima settimana!