I consumatori non sanno cosa acquistano, in parte perché le informazioni sui capi sono vaghe o difficili da interpretare, ma anche perché c’è una scarsa conoscenza generale sui materiali e sulla produzione. Lo conferma un sondaggio condotto negli Stati Uniti da Wakefield Research per conto dell'azienda biotecnologica Protein Evolution, che a dicembre ha annunciato una partnership con Stella McCartney per trasformare gli scarti misti di nylon e poliestere delle collezioni del marchio in nuovo materiale.

Sono stati intervistati mille americani ed è emerso che il 69% di loro non era consapevole che il petrolio greggio viene utilizzato per produrre la maggior parte dei vestiti del mondo, anche se molti credono di essere "in qualche modo informati" sui modi per ridurre i rifiuti di plastica nella loro vita quotidiana. Il 93% ha sovrastimato la percentuale di tessuti che vengono riciclati ogni anno, anche in questo caso dimostrando scarsa conoscenza. In realtà, solo una frazione dei tessuti del mondo viene riciclata; la US Environmental Protection Agency ha stimato un tasso di riciclaggio del 14,7% per tutti i tessuti nel 2018, ma il downcycling, ovvero l'utilizzo dei tessuti per uno scopo di valore inferiore, ad esempio per l’isolamento, rappresenta la maggioranza di questa cifra.
E’ interessante sapere che il consumatore ha bisogno di essere informato meglio su quello che acquista, ma questo non deve diventare un alibi per l’industria per non mettere in atto dei cambiamenti concreti e credibili. La responsabilità degli impatti del fashion è innanzitutto di chi immette sul mercato i prodotti, anche se sappiamo che le decisioni di acquisto dei consumatori possono essere di grande stimolo a mettere in moto i cambiamenti. Ma il cambiamento deve essere messo in atto dall’industria, grazie anche a una serie di norme univoche e ben definite per guidare la transizione.
NIKE ACCUSATA DI GREENWASHING Nei giorni scorsi in USA è stata aperta una class action contro Nike, accusata di "greenwashing". In particolare a finire sotto accusa è l’iniziativa “Move to Zero”, realizzata con materiali plastici e non biodegradabili, anche se la campagna faceva intendere una cosa diversa. "In effetti, dei 2.452 prodotti Nike 'Sustainability' Collection” solo 239 prodotti sono effettivamente realizzati con materiali riciclati", specifica la denuncia, che in 47 pagine elenca numerosi problemi nella comunicazione ai consumatori del brand sportivo.
Complessivamente, oltre il 90 percento degli articoli della collezione "Sustainability" di Nike non sono "realizzati con fibre riciclate" come pubblicizzato e, secondo la causa, sono in realtà costituiti principalmente da materiali sintetici "vergini”. I prodotti che contengono materiale riciclato, sono prevalentemente realizzati con poliestere riciclato e nylon riciclato, due materiali che nella class action viene sottolineato siano di fatto "ancora plastica" e quindi non biodegradabili.
La causa, intentata il 10 maggio nel Missouri, chiede al tribunale di ordinare a Nike di intraprendere una "campagna pubblicitaria correttiva" e rimborsare i consumatori che non sono stati adeguatamente informati che l'abbigliamento "sostenibile" del rivenditore è tutt'altro.
In particolare, la "stragrande maggioranza" del poliestere riciclato proviene da bottiglie di polietilene tereftalato (PET) riciclate che sono state "riciclate meccanicamente in fibra di poliestere per i vestiti", si legge nella causa. Secondo il caso, Nike ammette che il suo poliestere riciclato deriva da bottiglie di plastica che vengono "pulite, sminuzzate in scaglie, trasformate in pellet e poi filate in filati di alta qualità".
Tuttavia, questo metodo di downcycling "non è una soluzione circolare" dato che le fibre di poliestere perdono forza man mano che vengono riciclate e, di conseguenza, alla fine finiscono in discarica, si legge negli atti. Inoltre, la concorrenza tra le industrie dell'imballaggio e dell'abbigliamento per le bottiglie in PET ostacola la quantità di bottiglie in PET riciclabili utilizzate per il riciclaggio da bottiglia a bottiglia, che è più sostenibile e il poliestere riciclato non fa nulla per affrontare lo spargimento di microplastiche, il che significa che "miliardi di particelle di plastica finiscono ancora per raggiungere l'oceano, l'aria che respiriamo e le nostre catene alimentari".
La mia domanda è: a quanti brand potrebbero essere contestate le stesse cose? E’ necessario prestare molta attenzione alle scelte produttive che si fanno e al modo di comunicarle. Le parole hanno un peso, non ci può essere comunicazione senza una profonda conoscenza dei processi e del settore.
Buon weekend!
PS Qualche giorno fa è uscito il MAG7, dedicato al post industrial textile waste. Se non lo avete letto e non siete abbonati, potete farlo adesso.
Mi sono però dimenticata di aggiungere una news che invece ritengo molto importante, per capire in quale direzione stiamo andando. Il 22 maggio entreranno in vigore i nuovi Criteri ambientali minimi per la fornitura di arredo urbano e di arredi per l’esterno alle pubbliche amministrazioni (DM 7 febbraio 2023). Per quanto riguarda gli aspetti relativi al contenuto di riciclato, sono stati inseriti dei punteggi premianti (che quindi possono essere decisivi per l’aggiudicazione di una gara) per i prodotti preparati per il riutilizzo, i prodotti con fibre tessili riciclate e/o costituite da sottoprodotti derivanti da simbiosi industriale, in funzione del contenuto di riciclato e/o di sottoprodotto. Sono stati creati tre scaglioni che vanno dal 70% al 30% in contenuto di fibra riciclata, ai quali vanno riconosciuti premialità diverse. I prodotti per poter accedere ai punteggi premianti devono essere in possesso di etichetta Global Recycle Standard o Remade in Italy.
Secondo questa normativa, “Il contenuto di sottoprodotto derivante da simbiosi industriale è la porzione, in massa di materiale non precedentemente classificato come rifiuto (…) e ceduto a titolo gratuito o oneroso da un’impresa o un ramo d’azienda tessile ad altre imprese o ad altri rami d’azienda”. Questo significa che il sottoprodotto interno (quello derivante dallo stesso processo produttivo) è pur sempre sottoprodotto ai sensi della normativa vigente ma incide diversamente sul contenuto di circolarità rispetto a quello da simbiosi industriale. Ed è quindi escluso dal CAM tessile.
Lo so, vi sembra che vi stia parlando di cose lontane, ma in realtà è importante monitorare in quale direzione sta andando la normativa, anche se non è direttamente applicabile al fashion. Oggi il sottoprodotto interno è escluso dal CAM, domani potrebbe essere escluso anche dalla normativa sull’eco-design. Ha senso? Ditemi la vostra opinione, vorrei capire meglio.
L’Italia non ha una produzione di lana significativa, ma ha le sue pecore e potremmo avere una produzione di lana autoctona interessante e anche preziosa. Il valore sta nel legame con il territorio, perché per anni i velli delle pecore sono stati filati e utilizzati e hanno dato vita a prodotti e pratiche che sono connessi con la nostra cultura. Sono andata un po’ in esplorazione e in questo episodio del podcast vi presento le esperienze di Vuscichè, Bollait e Pecore Attive. Ma ho scoperto che c’è una grande attività intorno a questo tema, che spesso vede come protagoniste le donne.
Ascoltate qui l’episodio del podcast.
Da leggere:
Gli Stati dell’Ue sostengono il divieto di distruzione degli invenduti - Pambianco News
Formazione, digitale e circolarità: così la moda resterà leader globale - Il Sole 24 Ore Moda
Greenpeace, PFAS nelle acque lombarde: positivo un campione su tre - Repubblica Green & Blue
Tessile tecnico: Italia leader europea con 6,7 miliardi di euro di fatturato - Fashion Magazine
Circolarità UE: l’Italia è al primo posto - La Svolta
Perché lavorare nel tessile oggi? Cosa rende questo settore così affascinante? Proveremo a spiegarlo agli studenti del Corso di Laurea in Tessile e Moda dell’Università di Firenze, che ha sede a Prato presso il PIN, giovedì 24 maggio, con una giornata dedicata a questo tema.
L’evento inizierà alle 10 con i saluti di Daniela Toccafondi, Presidente del Pin, e di Debora Giorgi, presidente del Corso di Laurea. Dopo l’intervento di Gianni Scaperrotta, amministratore di NHRG, la parola passa agli imprenditori, che condivideranno la loro storia e le loro esperienze. Si alterneranno gli interventi di Niccolò Cipriani di Rifò, Sauro Guerri di Progetto Lana, Martina Salvetti e Michela Papaianni di Fan Factory, Matteo Mantellassi di Manteco e Raffaella Pinori di Pinori Filati.
A seguire focus sulla ricerca e sulle innovazioni con Stefano Cavestro, presidente di AICTC, Andrea Falchini e Enrico Venturini, direttore e project manager di Next Technology, Francesca Nardi di Texmoda. Chiuderà l’evento Francesco Leoni, amministratore delegato di Runaway. L’iniziativa è aperta a tutti.
La newsletter della settimana scorsa sul Portogallo ha suscitato tanti commenti. Rosanna mi ha scritto per segnalarmi un link dove verificare l’evoluzione del salario minimo nel Paese, con gli aumenti che sono stati previsti: Salário mínimo nacional em Portugal: qual o valor em 2023? (montepio.org). Ha anche condiviso la sua esperienza: “Mia figlia dopo aver concluso un corso secondario professionale in design di moda ha lavorato per quasi due anni per un’azienda portoghese che ha deciso di passare al grande volume di grandi marchi lasciando marchi sostenibili con prodotti di qualità, il risultato è stato tutt’altro che positivo. Lavorare con uno stipendio di 760 € non permette alle operaie di queste aziende di vivere degnamente e non cattiva personale qualificato e creativo. Mia figlia ha deciso di continuare gli studi universitari in Finlandia semplicemente perché in paesi come la Finlandia riconoscono il valore umano e creativo, gli stipendi, terminati gli studi, le permetteranno di condurre una vita autonoma e degna e così stanno facendo in molti”.
Io torno a dirvi che ho trovato delle belle realtà produttive in Portogallo, è un paese in cui stono stati fatti investimenti e sicuramente ci possono essere spazi di crescita. Ma il problema dei salari è serio ed è sicuramente un ostacolo.
Anche questa settimana è giunta al termine. Il pensiero va a coloro che hanno trascorso giorni difficili e che stanno ancora affrontando l’emergenza. Non è maltempo, è cambiamento climatico: mi voglio aggiungere al coro di tutti coloro che l’hanno detto in questi giorni.
Per qualsiasi cosa mi trovate qui: silvia@solomodasostenibile.it