Quando sono atterrata a Porto e mi sono spostata in direzione della città non ho potuto fare a meno di notare una serie di cartelloni di protesta contro il Governo lungo la strada: riguardavano i salari troppo bassi e la richiesta era quella di aumentare il salario minimo. Non immaginavo che di questo tema avrei sentito parlare spesso nei giorni successivi, raccogliendo punti di vista diversi, durante la mia permanenza in città: questo problema, naturalmente, ha riflessi importanti anche sul tessile e l’abbigliamento.
Cosa sono andata a fare a Porto? ho preso parte alla conferenza “ITechStyle Summit” organizzata da Citeve e ETP. Tre giorni intensi di confronto sulle connessioni tra sostenibilità e digitale, per condivere esperienze da tutta Europa, Grazie al prezioso supporto del PIN Polo Universitario Pratese ho potuto presentare l’inizio di uno studio dedicato al riciclo degli scarti della lavorazione tessile; ve ne parlerò nel prossimo numero del MAG che uscirà il 15 maggio.

Ma torniamo al racconto di questi giorni.
Se è vero che in Italia il settore dell’abbigliamento sta vivendo un momento d’oro per il ritorno della produzione dei brand del lusso nei nostri distretti, la stessa cosa non sta accadendo in Portogallo. L’industria locale è bloccata tra la concorrenza turca e quella italiana. I turchi possono praticare costi inferiori, “ma la loro situazione politica è molto fragile, dopo il terremoto”, mi racconta Miguel Domingues, di ATB. Miguel possiede una grande impresa che produce maglieria circolare per grandi brand: dal fast fashion al lusso. Conosce bene il mercato italiano, dove ha diversi clienti e anche fornitori. “Voi italiani siete imbattibili nel design - mi confida - I brand che lavorano qui in Portogallo non si fidano della nostra creatività, il design ci viene sempre fornito. Questo è il nostro punto di debolezza, che ci costringe ad essere dei bravi esecutori, senza offrire il pacchetto completo stile e prodotto”.
Eppure a livello di investimenti, processi, macchinari, il Portogallo ha fatto passi da gigante negli ultimi tempi. “Il Governo ha sostenuto fortemente l’industria tessile, con un piano di investimenti straordinari che ha permesso di ottenere a fondo perduto il 25% dell’acquisto in macchinari. Nessun altro Paese europeo ha fatto una politica di questo tipo e per questo ci ha regalato un bel vantaggio. Però si sono aggiunti altri problemi”.
Ed ecco che torna fuori il tema degli stipendi. Il Governo nei mesi scorsi ha incrementato il salario minimo da 430 euro (700 lordi) a 770 euro (1100 lordi). “Questo ha reso praticamente impossibile lavorare con i brand del fast fashion, perché non siamo più in grado di applicare certi costi, che però garantivano grandi volumi”. Gli faccio notare che le proteste in strada restano, nonostante l’incremento del salario minimo. “Certo, c’è una forte inflazione, per i beni alimentari i costi sono saliti del 20% e noi non siamo come gli italiani, non abbiamo risparmi da parte”. Qualche cliente si è spostato alla ricerca di fornitori meno costosi, altri sono tornati. “Dover rinunciare ai brand che fanno volumi toglie una fascia di mercato, ma restano i brand di medio livello e del lusso anche se i margini sono sempre molto ristretti”.
C’è anche chi, per non rinunciare alle commesse, ha trovato soluzioni diverse: “Ci sono aziende portoghesi di abbigliamento che prendono le commesse e producono in Marocco o in Tunisia a costi inferiori, senza che il committente lo sappia - mi racconta Mico Mineiro di Twintex. La sua è una delle aziende di produzione di abbigliamento più grandi del Portogallo, che usa le nuove tecnologie per ottimizzare la produzione, ridurre gli scarti, migliorare la qualità. Mentre mi parla indossa un completo di un brand del lusso confezionato da Twintex: in quella fascia di mercato la crisi e la volubilità del mercato fanno meno paura. Trovare un fasonista che lavora a quel livello non è facile, ma anche lui condivide le preoccupazioni con gli altri imprenditori con i quali ho parlato. In primo luogo, la difficoltà di trovare forza lavoro per la sua azienda. Avvicinare i giovani alla produzione è un tema universale: certi lavori non esercitano più alcuna attrattiva. “Nella mia azienda ci sono processi automatizzati, progettazione 3D, incentivi, ma trovare personale è ugualmente complicato. Per tenersi i dipendenti basta pagarli bene, ma avvicinarli a questo settore non è semplice”.
Xavier Pereira è il titolare di SJ Texteis, un’azienda di maglieria, e negli ultimi si è spostato sulla moda da bambino, sperando di trovare un po’ di respiro. “Per molte aziende del nord del Portogallo, dove c’è anche la mia, questo non è stato un anno buono e non ci sono buone prospettive - mi confida - Io riesco a lavorare perché realizzo capi maschili, femminili e da bambini, quindi riesco a intercettare più clienti. Ma il punto è che i consumi stanno rallentando, la gente non ha soldi e quindi compra molti meno vestiti”.
Le difficoltà economiche sono sotto gli occhi di tutti, ma il Portogallo si sente più schiacciato di altri Paesi. Sono una delle mete preferite dai pensionati non solo francesi, inglesi, italiani, ma adesso anche americani: molti preferiscono spostarsi qui piuttosto che andare in Florida. I prezzi contenuti, il clima, lo stile di vita, rendono il Portogallo una destinazione interessante, ma questa migrazione evidenzia ancora di più le differenze tra chi non riesce ad arrivare a fine mese e chi invece si sta godendo un lungo periodo di riposo. L’industria della moda portoghese avrebbe invece bisogno di attrarre più creativi, così che l’industria dell’abbigliamento possa fare un salto in avanti. Ma se in un Paese ci vai a lavorare e non ci vai in pensione, il problema dei salari è un vera e propria zavorra. E siamo tornati al punto di partenza.
DIGITALIZZAZIONE E MODA Era il tema della conferenza e in effetti di idee innovative per far dialogare questi due mondi ne sono state presentate diverse. Ma l’impressione è che stiamo ancora muovendo i primi passi, che la moda non abbia capito fino in fondo quello che il digitale può fare per le aziende del comparto (tracciabilità avanzata, passaporto digitale, automazione, digital twin) e il mondo della digitalizzazione non ha capito come approcciarsi a un comparto che si compone di tante piccole imprese e di microspecializzazioni e non di colossi. Quando però nasce la connessione tra questi due settori viene stabilita, i risultati sono affascinanti. L’approccio non deve essere quello di cercare di riportare nel mondo digitale quello che normalmente viene fatto in un’azienda, per gestire le informazioni in maniera più efficiente: ad esempio per la gestione delle filiere. La sfida è quella di aprirsi a un settore dove ci sono professionisti che possono guardare al comparto moda con occhi nuovi e portare grossi cambiamenti. L’ostacolo maggiore? l’investimento, probabilmente. Per le nostre aziende, di dimensioni medie e piccole, è difficile lanciarsi in un’avventura che non ha una destinazione precisa. Io in questi giorni in realtà queste nuove possibilità le ho viste e mi sono piaciute. Ci tornerò sopra.
LA RIVOLUZIONE BIOBASED Si è parlato molto di fibre biobased e di filiere locali. Ma sono rimasta molto colpita da NCG BIO, che ha lanciato uno spin off basato su un’idea rivoluzionaria: trovare sostituitivi a base biologica alle sostanze chimiche utilizzate da un’azienda e mettere l’azienda in condizione di produrre queste sostanze da sola, con un processo di fermentazione fatto in casa e utilizzando risorse locali. Detta così sembra incedibile, eppure la direzione è questa. Ricardo Costa, il fondatore, non vuole vendere prodotti, ma supportare le aziende in questa transizione “Quello che ci proponiamo di fare è stimolare un processo di reindustrializzazione a base biologica - mi racconta Ricardo - Partendo dalla materia prima o dalla sostanza che deve essere sostituita, riusciamo ad attivare un processo di fermentazione che può essere effettuato direttamente all’interno dell’azienda, che quindi crea i materiali di cui ha bisogno. Praticamente l’azienda costruisce un proprio fermentation hub, diventa autonoma e utilizza risorse locali”. Non è un’idea affascinante?
UNA BUONA NOTIZA ARRIVA DA EURATEX Secondo i dati forniti da Euratex alla conferenza, in Europa ci sono 160 mila aziende che operano nel settore tessile e abbigliamento, che generano 169 miliardi di euro di fatturato e occupano 1,3 milioni di persone. Sono numeri di un settore manifatturiero molto importante, che muove competenze, creatività e crea ricchezza. Un settore così importante merita una attenzione particolare per poter sostenere la transizione ecologica e le nuove sfide che sta affrontando. Per questo Euratex sta cercando di ottenere un budget dedicato nei nuovi fondi Horizon per la ricerca: la richiesta è quella di avere un miliardo di euro dedicati solo al settore tessile e moda, senza dover competere con gli altri settori. Speriamo che la richiesta possa essere accolta, potrebbe rappresentare una grande opportunità.
Sono rimasta colpita dagli investimenti che le aziende portoghesi hanno fatto in macchinari e tecnologie, per portare l’industria a un livello successivo. Adesso c’è da capire cosa farà il mercato: non può essere sempre il costo a decidere le sorti di un distretto.
Grazie a coloro che mi hanno dedicato un po’ del loro tempo. Obligada!
Una ventata di energia, un articolo velocissimo che parte dal fordismo, arriva al fast fashion e alla fine ci ricorda quanto siamo pigri nell'informarci correttamente: ecco la tesi di Fiamma Andrei, ospite nel blog della rubrica "Il vostro spazio" con la sua tesi. Potete leggere l’articolo qui.
Da leggere:
L’anno d’oro della lana - La Spola
Basta sprechi, arriva Slow Fiber per una moda sostenibile - Ansa
Walter Albini e la questione del “fashion revival” - NSS Magazine
Lusso, le alleanze con i big fanno crescere le pmi - Sole 24 Ore Moda
Come vi ho già annunciato, il 15 maggio uscirà un nuovo numero del MAG, la newsletter monotematica di Solo Moda Sostenibile destinata agli abbonati. Sapete quali e quanti sono gli scarti della lavorazione tessile?
Questa settimana sarò a Prato e spero di avere finalmente tempo di pubblicare un altro contenuto al quale sto lavorando. C’è anche un nuovo episodio del podcast che potrebbe uscire a breve.
Naturalmente scrivetemi, sapete quanto mi piace leggervi: silvia@solomodasostenibile.it.
Buon weekend!