Solo Moda Sostenibile Weekly

Share this post

#137 Quella cattiva abitudine dei resi

solomodasostenibile.substack.com

#137 Quella cattiva abitudine dei resi

La newsletter di Solo Moda Sostenibile

SoloModaSostenibile
Mar 18
6
Share this post

#137 Quella cattiva abitudine dei resi

solomodasostenibile.substack.com

Il tema della sovrapproduzione è al centro del dibattito, ma avete mai pensato quanto la cattiva abitudine dei resi contribuisce a mettere sul mercato capi che di fatto saranno destinati alla distruzione? Per qualcuno si tratta proprio di un’abitudine: ordinare online cinque capi, provarli e poi tenerne uno, perché il resto è gratuito. Il British Fashion Council (BFC) ha voluto capire meglio questo fenomeno e lo ha fatto con un report di analisi, ma soprattutto indicando 10 azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre il volume di quello che viene restituito.

Il rapporto fa parte del Circular Fashion Ecosystem Project ed è stato realizzato in collaborazione con l'Institute of Positive Fashion (IPF) del BFC, la società di consulenza globale Roland Berger e il gigante della logistica DHL. Un'ampia gamma di marchi, tra cui Ebay, Zalando, ACS Clothing, Jimmy Choo e Versace, ha fornito approfondimenti.

Partiamo dall’analisi: il 30% degli acquisti online viene restituito rispetto al 10% di quelli acquistati nei negozi fisici. Secondo il rapporto, la metà di tutti i resi viene rivenduta con uno sconto medio del 40%. Il tre per cento dei resi rimane invenduto, la metà viene inviato in discarica, un quarto viene riciclato e un altro quarto viene incenerito.

Si stima che i resi siano costati all'industria della moda britannica almeno 7 miliardi di sterline nel 2022, ma hanno anche avuto un pesante impatto ambientale. Hanno generato circa 750.000 tonnellate di emissioni di CO2, di cui 350.000 tonnellate provenienti da processi di logistica inversa. Il contributo maggiore, tuttavia, è venuto dai trasporti, che rappresentano la metà delle emissioni totali di CO2.

Foto di rupixen.com su Unsplash

Per affrontare lo spinoso problema dei resi, il BFC ha definito un piano in 10 punti, con il duplice obiettivo di ridurre i resi nel punto vendita e gestire i resi in modo più efficiente se non possono essere evitati in anticipo.

Le raccomandazioni rientrano in quattro grandi categorie: tecnologiche (compresi i passaporti dei prodotti digitali, l'automazione e la digitalizzazione dei processi, i consigli sulle dimensioni e la visualizzazione e le informazioni sui prodotti); migliori strategie organizzative (come il miglioramento dell'ultimo miglio, le politiche di restituzione e l'integrazione del feedback); la sensibilizzazione del consumatore e assistenza allo shopping; e poi politiche governative, che potrebbero agire tramite la responsabilità estesa del produttore e ad altre politiche di circolarità.

Queste raccomandazioni si basano in gran parte su un sondaggio condotto su 1.500 consumatori del Regno Unito tra luglio e agosto 2022. Ha rivelato che la taglia o la vestibilità errate sono il motivo più comune per i resi (93%), seguiti dalla qualità del prodotto che non soddisfa le aspettative dei consumatori (81 per cento). Le descrizioni dettagliate dei prodotti (75%), i calcolatori delle taglie (72%) e le visualizzazioni a 360 gradi dei prodotti (71%) sono state ritenute le soluzioni più utili, seguite da un passaggio a modelli più diversificati fotografati con gli stessi capi, sartoria e allestimenti virtuali. La soluzione? Circa il 56% degli acquirenti online intervistati ha convenuto che l'addebito per i resi sarebbe il miglior deterrente.

Leggi il report a questo link

SHEIN E’ NEI GUAI Il governo sudafricano sta indagando su Shein, il gigante dell’ultra fast fashion, a seguito della denuncia del sindacato tessile locale e dell'associazione industriale secondo cui sfrutterebbe scappatoie fiscali per ottenere un vantaggio ingiusto nell'economia africana.

Le questioni sollevate dai gruppi sudafricani assomigliano alle denunce di produttori e sindacati negli Stati Uniti che affermano che Shein e altri rivenditori cinesi stanno approfittando di un'eccezione nella legge doganale statunitense che consente loro di importare merci senza pagare tariffe. Ma il Sudafrica è il primo Paese ad aprire una indagine ufficiale.

Secondo le accuse, Shein invia deliberatamente le sue merci in piccoli pacchi di poco valore per ridurre i dazi all'importazione. Il governo sudafricano normalmente addebita tariffe comprese tra il 40% e il 45% sugli indumenti importati, a seconda del valore, ma Shein potrebbe pagare solo dal 10% al 20%, proprio perché i suoi pacchi sono destinati a singoli clienti, che hanno un trattamento fiscale diverso.

Anche negli Stati Uniti è stato denunciato un problema simile, legato alla regola de minimis. Questa legge consente ai turisti americani di riportare souvenir dai duty-free ed è ora utilizzata dalle aziende per evitare di pagare miliardi di dollari di tariffe doganali. Le merci devono essere confezionate e indirizzate a singoli acquirenti e devono avere un valore inferiore a $ 800. Qualcuno mi aiuta a capire se anche in Europa abbiamo una normativa simile?

BASTA POLIESTERE RICICLATO DA PET E’ partita dalle associazioni dell’industria delle bevande europea la lettera che è stata indirizzata ai Parlamentari Europei raccogliendo l’adesione anche di alcune ONG della moda. La questione è quella del downcycling delle bottiglie per bevande in PET che vengono utilizzate per produrre tessuti poi definiti “sostenibili” o “circolari”.

Si legge nella lettera “La Strategia presentata dalla Commissione Europea riconosce come una crescente fonte di preoccupazione l'accuratezza delle affermazioni ecologiche sui tessuti realizzati utilizzando polimeri plastici riciclati laddove questi polimeri non provengono effettivamente dal riciclaggio fibra-fibra ma provengono invece da bottiglie in PET. Al di là del rischio di fuorviare i consumatori, tale pratica non è in linea con il modello circolare per le bottiglie in PET, che sono adatte per essere conservate in un sistema di riciclaggio a ciclo chiuso per i materiali a contatto con gli alimenti”. Secondo la Strategia le imprese dovrebbero "dare la priorità ai loro sforzi sul riciclaggio da fibra a fibra e piuttosto a rivendicare i risultati per affrontare questa importante sfida nel chiudere il ciclo per i prodotti tessili".

Abbiamo infatti osservato negli ultimi anni una tendenza preoccupante per i settori non alimentari (come il settore tessile) a fare dichiarazioni ecologiche relative all'uso di materiale riciclato proveniente dagli imballaggi riciclabili per alimenti che il settore delle bevande immette sul mercato dell'UE ( e di cui finanzia la raccolta). Parliamoci chiaro: questa non è circolarità.

Le associazioni fanno notare che nella UE circa il 32% delle bottiglie per bevande in PET raccolte per il riciclaggio rimane in un circuito chiuso, ovvero viene ricircolato in nuove bottiglie. Il restante 68% viene inserito in cascata (downcycled) in altre applicazioni di prodotti PET dove non può essere recuperato e riciclato in nuove bottiglie a causa del cambiamento delle sue proprietà del materiale.

“Sebbene questa tendenza metta in pericolo la capacità del settore delle bevande (e in particolare delle PMI) di accedere al materiale riciclato di qualità alimentare necessario per raggiungere gli obiettivi di contenuto riciclato obbligatori dell'UE, riteniamo che vada anche contro il principio di un'economia circolare in cui dovrebbe essere promosso il riciclaggio a ciclo chiuso e dove il cosiddetto "downcycling" è evitato”, continua la comunicazione al Parlamento europeo.

Potete leggere la lettera integrale qui, ma penso che serva a togliere ogni dubbio sul fatto che il poliestere riciclato da PET non può essere considerato un prodotto circolare.

NUOVA VERSIONE DI GOTS E’ stata appena rilasciata l'ultima versione del GOTS, Global Organic Textile Standard (è la 7.0). La novità è che adesso include anche l’uso di fibre organiche riciclate, oltre al divieto generale sui PFAS. Ci sono anche nuovi requisiti chimici. Oltre a questo, inserisce nuovi requisiti per approfondire la due diligence sui diritti umani. Non l’ho ancora letta e non vi so dire di più. Entrerà in vigore dal 1° marzo 2024.

Penso di avervi detto tutto. Se avete voglia di approfondire il tema dei PFAS, che non sono un problema solo per l’abbigliamento, vi consiglio di leggere questa bella inchiesta di Le Monde. Ci sono tante industrie che fanno ampio uso di queste sostanze e l’effetto si vede. Per farvi venire voglia di leggere, guardate come siamo messi in Europa.

Non mi resta che augurarvi buon weekend!


E’ uscito il nuovo numero del MAG, l’approfondimento della newsletter Solo Moda Sostenibile, dedicato ai materiali alternativi alla pelle.

Lo potete leggere qui. Si tratta di un contenuto riservato agli abbonati. Se ancora non hai sottoscritto l’abbonamento (mensile o annuale) puoi farlo adesso.


Da leggere:

  1. Nel divario crescente tra ricchi e poveri, il lusso continuerà a vendere -Nss Mag

  2. Le co-lab nel footwear più originali del momento - Fashion Network

  3. Modelli e modelle sono di nuovo tutti magri? - Il Post

  1. Vf è una delle aziende più etiche al mondo per il settimo anno consecutivo - Fashion Magazine

  1. La ricetta dell’Università di Toronto per ridurre le microplastiche - Sustainability Mag


Quella che si appena conclusa è stata una bella settimana, ho incontrato tante imprese e ho imparato tante cose, come mi capita sempre quando parlo con le aziende. Ho un quaderno pieno di appunti e di idee, ci sono tanti temi che voglio approfondire. Intanto la prossima settimana vi prometto che uscirà un nuovo episodio del podcast.

Vi auguro di trascorrere un buon weekend, io spero di finire “Libertà” di Jomathan Franzen, un romanzo che di fatto parla del cambiamento climatico. L’avete letto?

Share this post

#137 Quella cattiva abitudine dei resi

solomodasostenibile.substack.com
Comments
TopNewCommunity

No posts

Ready for more?

© 2023 Silvia Gambi - SoloModaSostenibile
Privacy ∙ Terms ∙ Collection notice
Start WritingGet the app
Substack is the home for great writing