#136 Perché Patagonia adesso venderà anche crackers
La newsletter di Solo Moda Sostenibile
Sono trascorsi vent’anni da quando Patagonia ha fatto la sua ultima acquisizione: qualche giorno fa ha dato l’annuncio del nuovo investimento che non ha niente a che fare con l’abbigliamento. La società ha acquistato Moonshot, una startup che produce snack a basse emissioni di carbonio. Può sembrare una scelta dirompente, ma ha un senso se si cambia punto di osservazione.
Da qualche anno Patagonia ha aperto una divisione dedicata al food and beverage, che si chiama Provisions: l’obiettivo è sempre quello di salvare il pianeta, un impegno che il brand porta avanti da anni. Ma per avere un impatto reale non basta impegnarsi in una sola direzione, perché la rivoluzione passa anche dal cibo. Moonshot, la nuova acquisizione, lavora con i coltivatori di grano nello Stato di Washington che coltivano in modo biologico, evitando l'impronta di carbonio dei fertilizzanti a base di petrolio e dei pesticidi chimici, e utilizzano pratiche agricole "rigenerative" come la semina di colture di copertura, la riduzione della lavorazione del terreno e la rotazione delle colture, che possono creare raccolti sani, microbi nel suolo e potenzialmente sequestrano più carbonio.
I cracker della startup si uniranno ad altri 28 prodotti come lo sgombro affumicato, il mango essiccato e la salsa di alghe che Patagonia Provisions ora vende da sola e in negozi come Whole Foods. L’obiettivo è molto ambizioso: secondo i dirigenti dell’azienda il food dovrebbe addirittura rivaleggiare con l’abbigliamento nelle strategie dei prossimi dieci anni del brand.
Una scelta dirompente? Sicuramente coraggiosa, si tratta di andare a esplorare un mercato completamente diverso. Ma a pensarci bene forse nemmeno così diverso: il messaggio è lo stesso, lo scopo (il famoso purpose di cui a volte vi parlo) è lo stesso, il consumatore che ama Patagonia probabilmente apprezzerà anche la filosofia del loro food.
Forse è sempre meno importante cosa produci e sempre di più come lo produci. Cosa ne pensate?
LE FIBRE BIO BASED SONO SEMPRE LA SOLUZIONE MIGLIORE? Con questo dubbio forse vi ho fatto saltare sulla sedia e io non sono qui per darvi risposte, ma per segnalarvi che, come sempre, superata la fase degli slogan arrivano i primi studi che iniziano ad analizzare questo fenomeno. Eionet, la rete europea d'informazione e di osservazione in materia ambientale ha pubblicato un report dal titolo “The role of bio-based textile fibres in a circular and sustainable textiles system” per capire se una transizione massiccia dalle fibre sintetiche a quelle a base biologica sia una scelta davvero più sostenibile.

Secondo il report questa tipologie di fibre derivano da polimeri naturali, come la cellulosa o le proteine. Ma secondo lo studio “la loro origine biologica non le assolve dagli oneri legati alle attività agricole, al disboscamento e alla lavorazione delle fibre. Inoltre la loro presunta la biodegradabilità non elimina le preoccupazioni relative ai rifiuti e alla riciclabilità della microfibra”.
L’uso dei pesticidi e della coltivazione intensiva è un tema che conosciamo bene, legato alla produzione di cotone e ci sono tanti progetti che stanno lavorando in questa direzione. Sono “assolte” da queste critiche fibre naturali come il lino e la canapa che, sempre secondo il rapporto, possono essere dei promettenti sostituti sostenibili in quanto richiedono meno irrigazione e meno prodotti chimici per l'agricoltura rispetto al cotone convenzionale.
Un altro grosso problema sono le viscose, fibre cellulosiche originate principalmente da materie prime legnose. Qui gli impatti ambientali sono quelli associati alla deforestazione e alla lavorazione chimica della cellulosa.
Dall’analisi emerge che le pratiche di approvvigionamento sono quindi cruciali per la sostenibilità delle fibre a base biologica e questo comparta un grosso lavoro sulla tracciabilità.
Il report fornisce anche un’idea delle proposte future sulle quali dovremmo focalizzarci: l’utilizzo di materie prime di seconda generazione a base di rifiuti organici, che invece di essere distrutti possono essere trasformati in fibre e dare anche una ulteriore opportunità economica alle comunità agricole che potrebbero così avere un ulteriore entrata dal loro lavoro. Praticamente è necessario intensificare la ricerca su tutto quello che è possibile ricavare anche dagli scarti del settore food (e allora vedete che anche la scelta di Patagonia non solo ha più senso, ma è anche pioneristica).
Per la rigenerazione delle fibre cellulosiche, il rapporto evidenzia che sono stati messi a punto dei processi a ciclo chiuso sono fondamentali, che quindi riutilizzano le sostanze senza dispersioni e che c’è una grande ricerca per individuare solventi alternativi meno distruttivi.
Un ultimo spunto che è anche un segnale di allerta: la biodegradabilità delle fibre a base biologica è solo presunta. Tinture, finissaggi, trattamenti, ostacolano la compatibilità ambientale di questo processo.
Ci sono ancora molti aspetti da analizzare relativamente all’uso delle fibre bio based che sono tantissime e tante altre sono in fase di lancio sul mercato. “La mancanza di informazioni aggiornate e dati accurati riguardanti gli impatti ambientali delle fibre tessili e la frammentazione della filiera rendono difficile valutare le prestazioni ambientali delle fibre”. Le uniche soluzioni a portata di mano? Impegnarsi maggiormente nella circolarità con strategie di allungamento della vita dei capi e con un lavoro più attento sugli scarti.
NUVOLE SULLE B CORP Ci sono circa 6.400 B Corp certificate in tutto il mondo che operano in 158 settori, molte anche nella moda. In Italia questa scelta si sta diffondendo velocemente (in questo episodio del podcast ho parlato delle Società Benefit e delle B Corp), perché trattandosi di una certificazione internazionale di grande visibilità è facilmente riconoscibile. La B Corp è rilasciata da B Lab: si tratta di un progetto avviato 17 anni fa negli Stati Uniti da un gruppo di amici che hanno deciso di creare una rete senza scopo di lucro, con la finalità di rivoluzionare il capitalismo, mettendo al centro l'economia globale a "beneficio per tutte le persone, le comunità e il pianeta”. Proprio dagli Stati Uniti, dove il movimento ha preso avvio, arrivano anche le prime polemiche come racconta il Financial Times in articolo molto approfondito che trovate qui.
La certificazione era nata per valorizzare realtà di piccole e medie dimensioni che volevano distinguersi sul mercato per il proprio impegno nel soddisfare elevati livelli di prestazioni sociali e ambientali complessive, trasparenza e responsabilità legale per bilanciare profitto e scopo. Infatti il 96% delle B Corp sono piccole e medie imprese con un valore inferiore a $ 100 milioni. Poi le grandi multinazionali si sono accorte della potenza del messaggio e anche i grandi colossi hanno ottenuto l’ambito riconoscimento: Nespresso ad esempio del gruppo Nestlè oppure Ben & Jerry’s di Unilever.
Con l’arrivo dei grandi marchi si è aperto il dibattito: com’è possibile per queste organizzazione garantire il rispetto di certi standard di responsabilità, di fatto tarati su aziende di dimensioni diverse?
Le aziende ottengono lo status di B Corp in base al punteggio ottenuto su una varietà di 200 metriche che prendono in considerazione governance, trattamento di lavoratori e clienti, comunità e ambiente. Il processo può essere lungo e costoso - ovunque tra $ 500 e $ 50.000 all'anno - e deve essere rivalutato ogni tre anni. Le aziende, che devono ottenere almeno 80 punti, sono inoltre tenute a cementare legalmente l'impegno B Corp nella dichiarazione di intenti della loro azienda: in Italia devono impegnarsi a diventare società benefit.
Dov’è il vero limite nella certificazione? Nel monitoraggio della catena di fornitura. L’azienda certificata paga un salario equo ai propri dipendenti. non è tenuta a farlo per i propri fornitori che di fatto non sono mappati. I detrattori lamentano anche una scarsa attenzione agli impatti dei prodotti e dei servizi.
B Lab sta tentando di affrontare le critiche e ha annunciato un cambiamento negli standard dal prossimo anno, con una maggiore concentrazione su salari equi, diversità e inclusione, diritti umani, azione sul cambiamento climatico. E poi con una valutazione più rigida sui miglioramenti ottenuti dopo tre anni, al momento del rinnovo della certificazione. Se non si attuano velocemente dei cambiamenti, il rischio è che la certificazione diventi uno strumento che agevola il greenwashing, soprattutto in questo momento di grande fermento normativo intorno a questo tema. Tra l’altro Patagonia è stata la prima B Corp a certificarsi al mondo nel 2011.
E’ un momento molto difficile quello che stanno attraverso le certificazioni: ogni settimana o quasi vi racconto di modifiche in corso, adattamenti, revisioni. Il mono della sostenibilità si sta muovendo sempre più velocemente, con un approccio più “scientifico”, passatemi il termine. Ogni affermazione deve essere provata e verificata: questo richiede anche una revisione dei meccanismi interni alle aziende e soprattutto una grande capacità di risposta da parte delle imprese. C’è tanto lavoro da fare, ma l’obiettivo mi sembra condivisibile. Cosa ne dite?
Da leggere:
Inchiesta su un accordo illecito tra i big del fiorente settore dei profumi e degli aromi - Fashion Network
Un passaporto digitale per la filiera sostenibile della moda - Nova/ Il Sole 24 Ore
L’industria della moda può diventare sostenibile? - Repubblica Green&Blue
Tipologie di marchio: più di quante si pensi anche nella moda - Fashion United
Moda, cultura e politica in Italia - Art Tribune
Anche questa settimana abbiamo condiviso un po’ di informazioni. La prossima settimana mi leggerete anche mercoledì 15 marzo, con l’uscita del nuovo numero del MAG, la newsletter monotematica (a pagamento) di Solo Moda Sostenibile. Di cosa vi parlerò? Dei materiali alternativi alla pelle: ho fatto per voi una ricerca sulle ultime innovazioni. Potete iscrivervi qui sotto.
Come sempre, potete scrivermi a silvia@solomodasostenibile.it per condividere idee, progetti e suggerimenti. Vi lascio al vostro weekeend!