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#135 Una fotografia (sfocata) dell'export degli abiti usati europei

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#135 Una fotografia (sfocata) dell'export degli abiti usati europei

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Mar 3
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#135 Una fotografia (sfocata) dell'export degli abiti usati europei

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Quando riferendosi all’export di abiti usati si usa il termine “waste colonialism” (in italiano suona male, sarebbe colonialismo dei rifiuti) c’è chi storce il naso, ci vede dietro un’esagerazione. Eppure i numeri fotografati dalla EEA European Environment Agency nell’ultimo report “EU exports of used textiles in Europe’s circular economy” rendono difficile pensare che l’enorme massa di abiti usati che dall’Europa raggiungono l’Africa e l’Asia si componga solo di second hand, destinato ad essere nuovamente indossato. Questo significherebbe che anche in quei Paesi c’è un problema di sovraconsumo, perché è impossibile che il mercato riesca ad assorbire queste grandi quantità di materiali. Il problema c’è ed è anche difficile da fotografare. Partiamo da alcuni dati.

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La quantità di tessili usati esportati dall'UE è triplicata negli ultimi due decenni, passando da poco più di 550.000 tonnellate nel 2000 a quasi 1,7 milioni di tonnellate nel 2019. In media nel 2019 sono stati esportati di 3,8 chilogrammi a persona, ovvero il 25% dei circa 15 kg di tessili consumati ogni anno nell'UE.

Nel 2019, il 46% dei tessili usati esportati dall'UE è finito in Africa. Vengono venduti nei mercati del second-hand, se in buone condizioni. Ciò che non è idoneo al riutilizzo finisce per lo più in discariche a cielo aperto.

Sempre nello stesso anno, il 41% dei tessili usati esportati dall'UE è finito in Asia. La maggior parte di questi tessuti viene indirizzata a distretti dedicati dove vengono smistati e lavorati, in particolare in India e in Pakistan. I tessuti usati vengono riciclati in stracci industriali o imbottiture, oppure riesportati per il riciclaggio in altri paesi asiatici o per il riutilizzo in Africa (alla fine si torna sempre lì, purtroppo). I tessuti che non possono essere riciclati o riesportati probabilmente finiscono nelle discariche.

Negli ultimi 20 anni però è diminuito il valore commerciale degli abiti usati: nel 2019 il prezzo medio pagato al chilogrammo da un importatore è sceso a circa 0,57 euro. Il valore commerciale potrebbe anche essere diminuito a causa di una diminuzione della qualità o della saturazione del mercato.

Adesso devo fare una precisazione tecnica, per farvi capire anche la qualità dei dati dello studio. I tessili usati possono essere esportati con il codice 6309 (ossia tessuti e indumenti usati) oppure con quello 6310 (ovvero stracci usati selezionati e non selezionati e scarti tessili). Quelli di maggior valore sono quelli con il codice 6309: l’importatore vorrebbe ricevere materiali non selezionati, per poter fare la cernita e tirare fuori anche un po’ di “crema” (così si chiamano gli abiti usati in buone condizioni che hanno ancora un valore sul mercato). Quindi il 6309 è il codice più utilizzato, anche se le balle potrebbero contenere stracci e scarti. In altre parole, la classificazione non descrive necessariamente il vero stato di ciò che viene esportato. Fatta questa premessa, i dati dimostrano che il 6310 è un codice poco utilizzato e per questo motivo lo studio di EEA ha deciso di accorpare i dati dei due codici e trattarli come abiti usati.

Nel 2000, l'UE era responsabile di oltre il 45% delle esportazioni totali di tessili usati in tutto il mondo, ma da allora la sua quota è diminuita. Nel 2019, l'Asia ha raggiunto il 37% e l’Europa è rimasta ferma al 33%. Ci sono quindi delle ragioni e dei movimenti che sfuggono alla fotografia del settore e che dovrebbero essere approfonditi.

Germania, Polonia e Paesi Bassi sono i principali esportatori europei, è come se fossero degli hub di import-export, insieme a Belgio e Italia: da qui parte circa il 75% di tutte le esportazioni di tessili usati dell'UE. Probabilmente ci sono dei movimenti interni all’Europa e i tessili usati finiscono nelle aree dove c’è anche maggiore capacità di selezione e di scambio: non c’è altra spiegazione.

C’è anche un problema di raccolta differenziata che influenza i flussi: mediamente il 38% dei tessili usati in Europa viene raccolto separatamente, ma ci sono gradi differenze. La Spagna ad esempio raccoglie solo il 12%, la Germania raggiunge il 60%.

Ultima cosa che vorrei condividere. Il destino degli abiti usati non è lo stesso in Asia e in Africa. Mentre in Asia è evidente che si stanno creando distretti specializzati nel riciclo degli abiti usati, come in Pakistan, in Africa sono ancora i mercati i principali destinatari dei materiali.

Le conclusioni dello studio della EEA sono piuttosto amare: se i materiali esportati sono di bassa qualità e non possono essere riutilizzati, non possono nemmeno evitare la produzione di nuovi capi. Se i Paesi che ricevono questi indumenti usati non possono utilizzarli nel mercato del riuso e non hanno le strutture per riciclarli, quello che viene inviato sono praticamente rifiuti. In conclusione “questi tessuti esportati possono causare danni ambientali ancora maggiori rispetto a quelli che sarebbero stati avviati al riciclaggio o all'incenerimento dei rifiuti in Europa. Tuttavia, questo richiede ulteriori ricerche”, conclude l’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Foto di Robert Bye su Unsplash

ANCHE LA CALIFORNIA VUOLE LA SUA EPR ed è stato il Senatore Josh Newman a presentare la proposta legislativa, la SB 707.

Il Senatore ha dichiarato: “Ogni anno, il consumatore medio statunitense scarta più di 81 libbre di indumenti, con un aumento del 55% pro capite dal 2000. Nonostante il fatto che il 95% dei materiali che si trovano comunemente nei tessuti sia riutilizzabile o riciclabile, l'attuale quota di vestiti usati e altri tessuti che vengono riutilizzati o riciclati negli Stati Uniti è solo il 15% circa”. Ecco, io di questo 95% riciclabile o riutilizzabile sono rimasta un po’ sorpresa: gli americani hanno capito qualcosa che ancora noi non sappiamo?

La California ha già una EPR per materassi e tappeti; la nuova proposta riguarda tessuti, inclusi abbigliamento, accessori, borse, zaini, tendaggi, tende da doccia, arredamento, tappezzeria, biancheria da letto, asciugamani, tovaglioli e tovaglie. Restano quindi fuori calzature e accessori in pelle. Insomma, cercheranno di non fare un grande mix, come invece si stiamo apprestando a fare in Europa. Circa il modello di EPR scelto, il comunicato dice: “La California ritiene i produttori responsabili della pianificazione e del finanziamento di un programma di riparazione e riciclaggio per la gestione di tessuti e abbigliamento inutilizzabili”. La Goodwill, l’ente benefico che storicamente raccoglie e seleziona gli abiti raccolti dalle donazioni, per poi venderli in negozi dedicati, sarà a fianco del Senatore in questo percorso.

E ora è il momento del caffè!

Buon weekend


Da leggere:

  1. La moda second hand vale 120 miliardi. Per i brand la posta in gioco più alta - Il Sole 24 Ore

  2. L’industria portoghese della calzatura formalizza il suo Green Pact - Fashion Network

  1. Novità per i rifiuti tessili: la bozza di decreto sulla responsabilità estesa del produttore (EPR) - Economiacircolare.com

  2. Metaverso: il made in Italy ambito privilegiato - Fashion United

  1. Pregi e difetti di una moda virale - NSS Magazine


La prossima settimana farò delle cose interessanti. Poi ve le racconterò. Raccontatemi qualcosa anche voi, scrivendomi a silvia@solomodasostenibile.it

Il 15 marzo uscirà il nuovo numero del MAG, la newsletter monotematica (e a pagamento) di Solo Moda Sostenibile. Il tema l’ho già scelto e sto raccogliendo il materiale. Potete iscrivervi qui:

Passo e chiudo. Alla prossima settimana.

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