#107 Siete pronti per l'Apocalisse?
La newsletter di Solo Moda Sostenibile
In questo periodo sto vedendo documentari, leggendo saggi e anche romanzi (conoscete “I Greenwood” di Micheal Christie?) sul tema del cambiamento climatico. Si sta impadronendo di me un po’ di quella eco-ansia di cui ho sentito parlare e il caldo innaturale di questi giorni e la siccità non mi tranquillizzano per niente. Per questo non ho potuto fare a meno di leggere l’articolo di Vogue Business “Clothes for the Apocalipse”, che mi ha messo in circolo un po’ di idee. E se i nostri abiti andassero progettati per diventare degli strumenti di protezione, come se fossero delle barriere? E come possiamo assicurarci che quegli stessi abiti abbiano un impatto ambientale ridotto, per non essere la causa degli eventi avversi dai quali dobbiamo proteggerci?
L’abbigliamento sportivo nasce per garantire abiti performanti per chi pratica un’attività all’aria aperta in condizioni metereologiche diverse. E’ realizzato con una serie di accorgimenti nella progettazione che ne amplificano le performance. Poi lo stile si è evoluto ed è diventato un modo di vestirsi comodo, senza costrizioni, che ha contaminato la vita di tutti i giorni. Adesso scegliamo di utilizzare certi capi che provengono da quel mondo per esigenze di stile (avete visto le collezioni all’insegna del comfort che hanno animato la settimana della moda milanese?) ma presto dovremo iniziare a farlo anche per proteggerci da condizioni ambientali poco favorevoli. Troppo caldo, troppo freddo, umidità eccessiva, pioggia torrenziale: gli abiti performanti ci potrebbero servire per vivere la nostra quotidianità.
I marchi che fanno abbigliamento sportivo sono i pionieri in questo campo e stanno sperimetando nuovi trattamenti e materiali di minore impatto e maggiore funzionalità. Sono proprio loro a fare ampio uso di fibre sintetiche e sono sempre loro ad avere la necessità di impermezabilizzare le superifici, spesso usando PFAS (in questo articolo che avevo scritto qualche tempo fa potete scoprire di più sui “forever chemicals”). Quindi le sfide principali sono proprio queste: eliminare i PFAS e sperimentare nuovi materiali.
Tutto naturalmente accompagnato da una strategia di allungamento del ciclo di vita del prodotto e di circolarità. Vi cito solo due esempi interessanti:
Vollebak che realizza la felpa con cappuccio che può durare 100 anni: respinge pioggia, vento, neve e fuoco, occorrono 40 settimane per la realizzazione. Infatti il loro claim è “abiti per l’Apocalisse”
Il marchio 66°North nasce per vestire i pescatori islandesi, che di condizioni estreme se ne intendono. Si è evoluto in un brand che fa moda funzionale, puntando su un design che fa della circolarità e della progettazione i suoi punti di forza. I capi nascono per avere tante vite e usi diversi. Fa ampio uso di fibre sintetiche, anche se sperimenta materiali innovativi.
C’è molto da lavorare e non siamo pronti ad affrontare una nuova Era nel vestire e nell’abitare. Ma sono ottimista, siamo in tanti a darci da fare.
L’HIGG INDEX E’ NEI GUAI Non c’è pace per l’Higg Index, che si trova sotto il fuoco incrociato di addetti ai lavori, della stampa e anche delle autorità governative. Lo strumento di misurazione delle performance ambientali progettato dalla Sustainable Apparel Coalition, sembrava destinato a risolvere i problemi dei brand legati alla misurazione degli impatti della catena di fornitura. Ma più che essere una soluzione sta diventando un nuovo problema.
A inizio giugno un articolo del New York Times si è occupato dell’Higg Index criticando senza mezzi termini la misurazione sull’impatto dei materiali fatto dal sistema. Praticamente dai dati messi a disposizione dall’indice emerge che il poliestere è la fibra più sostenibile al mondo, che la seta e la pelle sono materiali da evitare, che le fibre animali hanno un impatto insostenibile. Il New York Times in particolare si è concentrato sulla preferenza accordata da HIGG ai materiali alternativi alla pelle rispetto al materiale naturale, mettendo in discussione una scelta che di fatto oggi sembra incoraggiare l’uso di materiali di origine fossile.
Non ha fatto in tempo a spengersi la polemica che qualche giorno dopo l’Autorità per la Concorrenza Norvegese ha diffidato il marchio Norrøna dall’utilizzo dei dati provenienti da HIGG Index per il loro marketing e ha scritto anche al gruppo H&M per metterli in guardia da un comportamento simile. In particolare l'Autorità norvegese per i consumatori ha concluso che l'uso da parte del marchio di abbigliamento Norrøna dei dati Higg MSI per fare affermazioni ambientali su una t-shirt di cotone biologico, che avevano utilizzato per una campagna, "è probabile che sia falso e non veritiero" e quindi sia da considerarsi una violazione della legge norvegese sul controllo del marketing.
In mezzo a questa bufera, Sustainable Apparel Coalition ha pubblicato una precisazione a firma della CEO Amina Razvi, che precisa: “Affermare che l'Higg MSI predilige i materiali sintetici rispetto a quelli naturali non è corretto. Non predilige le fibre sintetiche rispetto a quelle naturali e non è stato progettato per confrontare le due. Lo scopo dell'MSI è mostrare a progettisti e sviluppatori dove si trovano gli hotspot ambientali nella produzione di un materiale, scomponendo le categorie di impatto come le emissioni di gas serra. Le linee guida di comunicazione del SAC per i marchi vietano specificamente ai marchi di effettuare confronti tra tipi di materiale”. Velocemente la bufera ha coinvolto anche, più in generale, la metodologia utilizzata per la misurazione della LCA dei prodotti, accusata di essere un approccio che rischia di paralizzare il sistema. Ma senza raccogliere i dati come si può impostare una strategia di miglioramento?
NUOVE RESTRIZIONI AL COTONE CINESE Martedì, gli Stati Uniti hanno vietato l’entrata di tutte le merci prodotte nella regione cinese dello Xinjiang occidentale, a seguito dell'emanazione di una legge sul lavoro forzato firmata dal presidente Joe Biden l'anno scorso.
Gli Stati Uniti avevano già in atto diverse restrizioni per le importazioni dallo Xinjiang, dove i gruppi per i diritti umani affermano che gli uiguri e altre minoranze etniche e religiose hanno affrontato una serie di violazioni dei diritti umani, incluso l'essere rinchiusi in campi di internamento di massa, ve ne ho parlato tante volte.
In base allo “Uigur forced labour prevenction act” , approvato alla fine del 2021, le Dogane le frontiere degli Stati Uniti ora potranno bloccare tutte le importazioni provenienti dallo Xinjiang. Potranno essere bloccate anche le merci prodotte da aziende al di fuori della regione, i cui legami con le società dello Xinjiang o con il governo dello Xinjiang le rendano complici - secondo il Dipartimento del Commercio - di pratiche di lavoro forzato. La nuova previsione richiede un aggravio senza precedenti alle richieste di una maggiore supervisione della catena di approvvigionamento nel settore. Circa il 20% del cotone mondiale viene prodotto in Cina e la maggior parte nello Xinjiang, la nuova restrizione avrà effetti pesantissimi: potranno essere anche sequestrati i beni che le autorità ritengano essere collegati al lavoro forzato in Cina. E per dimostrarlo è necessaria una tracciabilità molto attenta dei materiali.
Forse sono andata un po’ lunga anche oggi, ma questa è una estate bollente sotto diversi aspetti!
Buon weekend
Da leggere:
Cotonizzare la canapa: filare la fibra senza trattarla come lino - Lampoon Magazine
I prezzi corrono. Il fast fashion costa l’11% in più rispetto al 2019 - Pambianco News
Moda in Europa: nasce l’alleanza tra 25 associazioni in 17 Paesi - Il Sole 24 Ore
Ecco com’è andata la 102 edizione di Pitti Uomo a Firenze - Artribune
Renzo Rosso (Otb) riceve il Green Award - Fashion Magazine
Dalla prossima settimana iniziano le fiere tessili: Pitti Filati, Premiere Vision, Milano Unica. Se presenterete qualcosa di innovativo, scrivetemi a silvia@solomodasostenibile. Se volete farmi vedere i vostri materiali, scrivetemi e vi fornisco l’indirizzo per inviarmeli: adesso che ho il mio ufficio, posso finalmente raccogliere tutte le cose più interessanti che trovo in giro.
Questa newsletter è frutto di un attento lavoro di ricerca. E’ un lavoro che svolgo in maniera autonoma e indipendente. Se vuoi supportarmi, offrimi un caffè.
Create your profile
Only paid subscribers can comment on this post
Check your email
For your security, we need to re-authenticate you.
Click the link we sent to , or click here to sign in.