#101 Daremo alla Generazione Z l'opportunità di cambiare il mondo?
La newsletter di Solo Moda Sostenibile
“La generazione Z è cresciuta infervorata dal cambiamento climatico e ambiziosa di fare la differenza. Oggi stanno acquistando fast fashion per un importo di $ 100 miliardi: cosa è successo?”: se lo chiede Cazzie David, in un articolo scritto per Airmail (lo trovi qui). Ve lo sarete chiesto anche voi: com’è possibile che questa generazione che ci viene descritta così sensibile ai temi ambientali, sia un’acquirente così generosa per i giganti dell’ultra fast fashion come Shein?
E’ anche vero che sarebbe il caso di chiederlo direttamente a loro, perché parliamo tanto di Generazione Z, ma è una entità misteriosa, quasi incorporea, perché questi giovani non sono rappresentati per niente. Non diamo loro nessuna opportunità di crescita perché li costringiamo a un precariato infinito, hanno poca voce a livello politico, e poi ci aspettiamo che cambino il mondo. Com’è possibile?
Io incontro tanti studenti, soprattutto delle fascia d’età tra i 19 e i 25, e mi sembra che l’aspetto economico sia fondamentale per loro: vogliono una vita low cost. Non possono permettersi di più e sono abituati a considerare il costo di ogni cosa ma sono poco educati a valutare la qualità. Se vogliamo che cambino il mondo (e ne abbiamo bisogno) dobbiamo dare loro delle opportunità.
Come consumatori, però, continuano a dichiararsi interessati alla sostenibilità. Questi sono i risultati di un’indagine di Mc Kinsey fatta sui consumatori tedeschi. Come vedere la Generazione Z risulta disponibile a spendere di più per prodotti sostenibili.
Forse queste indagini dovrebbero anche approfondire il tema di cosa sia per loro la sostenibilità, perché mi viene il dubbio che il problema sia lì. La sostenibilità continua ad essere una entità misteriosa alla quale ognuna attribuisce il significato che preferisce e secondo me chiedere se si sarebbe disposti a spendere di più per un prodotto sostenibile non ha più tanto senso.
DECARBONIZZARE LA MODA Tra l’altro questo approfondimento di Mc Kinsey si inserisce in un loro studio sui processi di decarbonizzazione del retail che vi consiglio di leggere se vi interessa questo tema (lo trovate qui). Per i brand la decarbonizzazione è un tema prioritario, per raggiungere gli obiettivi dell’accorso di Parigi. Pianificare azioni per ridurre le emissioni Scope 1 e 2, che sono quelle prodotte rispettivamente direttamente dalle aziende nelle loro attività e indirettamente attraverso l'acquisto di energia, è abbastanza semplice. Ma come fare per quelle Scope 3, che sono quelle generate lungo la catena del valore e non direttamente sotto il controllo del rivenditore? Qui il problema si fa complicato.
Decarbonizzare significa prima misurare le emissioni e poi fare delle azioni concrete che le riducano. Ma come può essere raggiunto questo obiettivo con i propri fornitori? E soprattutto chi dovrebbe finanziare gli investimenti necessari? L’impresa fornitrice? il retail? Secondo Mc Kinsey dovrebbero essere l’impresa, il retail, ma anche i Governi, con incentivi adeguati, e i consumatori, che sembrano disposti a finanziare la sostenibilità (come dimostra l’indagine sopra). Io ho i visto gli ultimi dati sull’inflazione e credo che sia difficile immaginare che i costi per la sostenibilità possano essere assorbiti dai soggetti più deboli del mercato. Sono pessimista?

SALARIO MINIMO La Commissione Europea ha annunciato nei giorni scorsi che una delle azioni prioritarie, richieste dagli stakeholder di tutti i Paesi, sia l’introduzione del salario minimo. Qualcuno non sarà contento. Pensiamo che un aumento del costo del lavoro, renda meno competitivi, ma forse non siamo abituati a vedere cosa significa aumentare il livello dei diritti.
Io vi racconto quello che è successo in California, con l’adozione del Garment Worker Protection Act. La legge mira a rendere le aziende di moda responsabili degli abusi nelle loro catene di approvvigionamento e a porre fine al cottimo e al pagamento dei lavoratori al di sotto del salario minimo. E’ entrata in vigore nel gennaio 2022. Potete immaginare che l’approvazione di questa normativa è stata molto tortuosa, perché alcune associazioni imprenditoriali l’hanno avversata in ogni modo, pensando che avrebbe reso il settore meno competitivo. Costi più alti del lavoro, meno competizione. Non è andata così: in pochi mesi la nuova legge ha semplicemente isolato le imprese che lavorano senza rispettare i diritti dei lavoratori, creando di fatto una concorrenza sleale nei confronti delle aziende che rispettavano le regole. Si può essere competitivi anche rispettando i diritti di chi lavora per noi, insomma.
RIPARARE E’ CONVENIENTE? Se lo è chiesto Vogue Business questa settimana (ecco l’articolo) evidenziando come sempre più brand, anche del lusso, stiano lavorando sul concetto di resale, ma pochi su quello di riparazione. Riparare richiede tempo, logistica, è un processo poco standardizzabile.
Si legge nell’articolo “Meno della metà dei capi raccolti attraverso i programmi di takeback sono pronti per la rivendita, secondo una valutazione di migliaia di capi di marchi dell'intero spettro della moda, condotta da The Renewal Workshop; l'aggiunta della capacità di rinnovare o riparare un indumento aumenta quel numero dal 46% all'82%”.
Quindi la riparazione è necessaria, non solo per i beni di lusso, ma anche per quelli di fascia media e bassa; si tratta di un’azione che un brand può integrare nel proprio modello di business, ma secondo me è anche un’ottima occasione per tante start up che possono prendere forma. Per farvi venire qualche idea, vi segnalo l’inglese Clothes Doctor (prodotti e consigli per riparare i propri abiti), la statunitense Eva Joan, la francese Fix that shirt.
GOSSIP Passiamo al gossip? Mark Zuckerberg è venuto a Milano a incontrare i più importanti rappresentanti dei brand della moda italiana (leggi qui). Naturalmente non c’era nemmeno una donna, ha fatto notare qualcuno. Il tema dell’incontro? Il metaverso, a quanto si dice. Io ho qualche difficoltà ad approcciare questo mondo così esageratamente immateriale perché sono una consumatrice che ha bisogno di toccare quello che compra, ma ho voglia di capire meglio. Lo metto nella lista delle cose da fare?
Buona lettura
La tintura naturale è un tema molto affascinante, che prevede un approccio ai materiali, alla performance, all’artigianalità diverso da quello a cui siamo abituati. Stefano Panconesi lavora da molto tempo su questo tema ed è riuscito ad utilizzare le piante tintorie anche nei processi industriali, superando gli ostacoli che possono presentarsi. L’ho intervistata qualche tempo fa nell’episodio 25 del podcast.
Panconesi opera nella sua struttura in mezzo al verde vicino a Biella, che si chiama Casa Clementina. Ha appena lanciato una call per artisti che abbiano voglia di realizzare un progetto speciale: dal 10 al 23 agosto c’è la possibilità di sviluppare il proprio progetto in residenza. Maggiori informazioni possono essere richieste scrivendo a casaclementina10@gmail.com.
Da leggere
Kering, partecipazione per i dipendenti - Pambianco
EPR e consorzi: a che punto siamo? - Sustainability.net
Scarpe e corpetti in MuSkin: il fungo parassita diventa pelle - Corriere.it
Zalando presenta i nuovi criteri green - Fashion Network
Moda Made in Italy, cresce presenza nei Cda - Qui Finanza
Solo Moda Sostenibile ha trovato casa. Finalmente ho uno spazio (naturalmente a Prato) dove poter lavorare, ma soprattutto dove incontrarvi, ospitarvi e dove raccogliere i vostri materiali: libri, pubblicazioni, campioni, prototipi. Lo sto finendo di allestire, ma tra una decina di giorni sarà pienamente operativo.
Se volete condividere i vostri materiali, mandatemi una mail e vi darò l’indirizzo per inviarli: silvia@solomodasostenibile.it
Lo so, è qualche settimana che non esce un episodio del podcast, ma è un periodo molto intenso. Non preoccupatevi, ho in cantiere 4 episodi prima dell’estate e presto saranno disponibili. Intanto vi tengo compagnia con la newsletter!
Questa newsletter è frutto di un attento lavoro di ricerca. E’ un lavoro che svolgo in maniera autonoma e indipendente. Se vuoi supportarmi, offrimi un caffè.