Sommersi dagli abiti usati, diventati ingestibili, tanti Paesi del mondo vedono nella normativa EPR, sulla responsabilità estesa del produttore, l’unica soluzione per poter iniziare a gestire al problema. Dico “iniziare” perché la Francia, che l’ha adottata da qualche anno, è ancora molto in difficoltà. La California ha fatto una corsa in avanti e il 30 settembre è stata adottata la nuova normativa, ed è prevedibile che anche nel resto degli USA gli Stati adotteranno presto normative simili.
In Europa si discute di EPR da tempo, ma senza essere arrivati ad una direttiva “obbligatoria e armonizzata” per tutti i Paesi: sono queste le parole usate il 5 luglio del 2023 quando è stata presentata la bozza di revisione della Waste Framework Directive che dovrebbe contenere la previsione della EPR. Trovare una soluzione che metta tutti d’accordo non è semplice, perché ogni Paese ha competenze e infrastrutture diverse per il riciclo e il riuso, non tutti hanno lo stesso livello di raccolta e anche le abitudini dei consumatori sono differenti. Insomma, non se ne viene a capo.
L’Italia aveva preparato una bozza di decreto per l’adozione dell’EPR tessile, ma il passo in avanti dell’Europa aveva congelato tutto. Anche perché, diciamo la verità, quella bozza scontentava un po’ tutti i soggetti in gioco. Ma dopo oltre un anno dalla presentazione della bozza europea e con i tempi di adozione che non sono ancora stati fissati, l’industria italiana ha deciso di rimettersi in moto, per arrivare a battezzare un sistema che viene definito dalle parti coinvolte necessario e urgente. La prossima settimana ci sarà una riunione al Ministero durante la quale si tornerà a parlare di EPR. La novità è che gli attori industriali della filiera, rappresentati dalle principali associazioni, hanno trovato l’accordo su un documento composto da 12 punti che dovrebbe andare ad emendare il decreto del Ministero. Una novità, visto che ognuno di questi soggetti stava andando per la propria strada: quando le posizioni si compattano è più semplice arrivare a una soluzione.
I 12 punti del documento degli attori della manifattura industriale hanno come obiettivo quello di giocare la partita dell’EPR insieme a brand e retailer, senza venire messi da parte: i Paesi che non hanno una filiera produttiva possono fare scelte diverse, ma per l’Italia è impossibile escludere una parte così importante. In pratica nel documento si chiede di inserire la presenza dei rappresentanti dei distretti industriali all’interno del CORIT, il comitato di controllo previsto dal MASE. E poi si chiede di rendere possibile la partecipazione delle aziende manifatturiere ai Sistemi dei produttori per la gestione della raccolta (che fino ad ora erano stati esclusi). Il sistema disegnato dal Ministero aveva infatti messo al centro solo i brand, con oneri e onore nella gestione del sistema EPR. D’altra parte per la normativa europea i “produttori” sono coloro che immettono i prodotti sul mercato. Si chiede inoltre che i sistemi dei produttori possano gestire i tessili pre-consumo, che invece erano rimasti in un limbo nella proposta ministeriale.
Un altro punto importante, forse quello centrale, è la richiesta di far definire al CORIT le linee di indirizzo per la gestione del mercato delle materie prime seconde, “improntato ai principi di trasparenza e di non discriminazione”, tenendo conto delle necessità di approvvigionamento delle piccole imprese e dei principi di prossimità e circolarità. In pratica, quando la normativa eco-design definirà il contenuto minimo di fibra riciclata che dovrà essere presente nei capi nuovi, per le aziende manifatturiere avere accesso a questi materiali sarà vitale. La loro esclusione, con la possibile dispersione di questi materiali in altre zone, potrebbe creare un problema serio di competitività.
Non so se l’EPR italiana sarà adottata in tempi brevi, ma sicuramente è un ottimo segnale che si sia riaperto in confronto, perché, come ci insegna l’Europa, trovare una soluzione che accontenti tutti non sarà semplice.
PRIMARK DEFINISCE IL SUO CONCETTO DI DURABILITA’ E’ appena stato pubblicato da Primark il “Durability Framework” le linee guida per i retailers per realizzare abiti durevoli. Realizzate con l’Università di Leeds e con la ONG WRAP, sono un interessante contributo al dibattito su come possiamo definire un capo durevole. Vanno presi in considerazione due aspetti: la durabilità emotiva, e quindi creare capi che i consumatori possano amare a lungo per il loro stile; e la durabilità tecnica, cioè la resistenza dei capi a usura e lavaggi.
Premetto che l’Università di Leeds ha testato capi di abbigliamento con un prezzo compreso tra £ 5 e £ 150 rispetto a specifici standard di lavaggio e prestazioni. I risultati hanno rivelato che alcuni degli indumenti più convenienti hanno funzionato altrettanto bene, o addirittura meglio, di quelli più costosi. (vi avevo commentato questo studio in una newsletter dell’anno scorso). Delle 33 magliette testate, i dati hanno mostrato che il prezzo non prevede quanto sarà durevole una maglietta, né indica differenze di durata tra le magliette. Attraverso questa ricerca Primark ha voluto dimostrare che tutti i capi meritano di essere curati allo stesso modo, indipendentemente dal loro prezzo.
L’obiettivo “aspirazionale” è stato fissato a 45 lavaggi.
Naturalmente è un obiettivo che può essere raggiunto da un certo tipo di prodotti, perché un tessuto più delicato non può certo raggiungere questo standard. Tra i prodotti usati nelle loro collezioni, Primark segnala la difficoltà a raggiungere il livello “aspirazionale” per jersey, denim e calzini.
LEGGE SULLA DEFORESTAZIONE, NON SE NE RIPARLA TRA UN ANNO La notizia era nell’aria da qualche settimana, ma quando mercoledì è stata ufficializzato che la Commissione Europea ha chiesto a Parlamento e Consiglio di ritardare di un anno l’entrata in vigore della legge sulla deforestazione, sono certa che in diverse aziende della filiera della pelle c’è chi ha festeggiato. Non c’erano le condizioni per procedere, mancavano le indicazioni attuative e anche il sistema informatico per la due diligence.
Ma contestualmente all’annuncio del quasi certo posticipo, sono anche state pubblicate le linee guida, che hanno coinvolto le parti interessate e le autorità competenti, per contribuire a garantire un'interpretazione uniforme della legge. La guida è divisa in 11 capitoli che coprono una vasta gamma di questioni quali requisiti di legalità e tempi e modalità di applicazione.
Inoltre, è stata pubblicata una ulteriore lista di FAQ, che contengono oltre 40 nuove risposte aggiuntive per rispondere alle domande sollevate da una vasta gamma di parti interessate da tutto il mondo.
Sempre mercoledì sono stati pubblicati anche i principi della metodologia che sarà utilizzata dalla Commissione per classificare i Paesi come a basso, standard o ad alto rischio, con l'obiettivo di facilitare i processi di due diligence e consentire alle autorità competenti di monitorare e garantire efficacemente la conformità . La mappa sarà pubblicata entro il 30 giugno 2025.
Il sistema informativo in cui le imprese registreranno le proprie dichiarazioni di due diligence è già pronto per iniziare ad accettare le registrazioni all'inizio di novembre e per essere pienamente operativo a dicembre. Operatori e commercianti potranno registrarsi e presentare dichiarazioni di due diligence anche prima dell'entrata in vigore della legge.
Se approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, la legge entrerebbe in vigore il 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e il 30 giugno 2026 per le micro e piccole imprese.
Riparleremo di questo tema, ho pianificato una serie di aggiornamenti per capire meglio come funziona la nuova normativa che, vi ricordo, oggi tocca il mondo del fashion coinvolgendo il settore della pelle, ma presto potrebbe essere estesa a nuovi ambiti.
Buona lettura!
Se non avete ancora letto "Fuorimoda!" di Matteo Ward dovete farlo, perché troverete spunti e soprattutto storie interessanti. Se siamo sommersi da quello che indossiamo, ci sono delle ragioni ben precise, che ho cercato di esplorare nell'intervista con Matteo.
Tra l'altro inaugura una nuova stagione del podcast, con un format leggermente diverso: tutto lo spazio è dedicato alla conversazione, mentre gli approfondimenti sui vari temi (che vi piacciono tanto, lo so) finiranno sul blog. Per adesso, fino a quando non mi è venuta una idea nuova!
Intanto ascoltate questo episodio su Spotify, Spreaker, Apple Podcast e sulle principali piattaforme audio. Oppure tramite il blog.
Da leggere:
Il lusso di seconda mano, evitato dai marchi ma adorato dai consumatori - Fashion United
Quello che c’è da sapere sulla proposta di rinvio del regolamento sulla deforestazione - Economiacircolare.com
La Cina denuncia Calvin Klein e Tommy Hilfiger perché boicottano il cotone degli uiguri - Lifegate
Il vestito della responsabilità - The Map Report (Magazine online)
Venerdì 11 ottobre alle 16,30 sarò al Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale presso la Bocconi a Milano, per la presentazione del libro “Circular Fashion Management” con Francesca Romana Rinaldi, che intervisterò nel corso di uno dei panel che si avvicenderanno durante i tre giorni della manifestazione.
Il nuovo libro di Francesca Romana Rinaldi, “Circular Fashion Management” edito da Egea – Bocconi University Press contribuisce a creare una cultura della circolarità per il settore moda, fornendo uno strumento sintetico ma approfondito sulle principali sfide e sulle normative in fase di evoluzione. Anche io ho collaborato con un mio contributo sulla EPR.
Eccoci qui al momento dei saluti, vi lascio al vostro weekend.
Se volete scrivermi, silvia@solomodasostenibile.it