Non conosciamo tutta la storia di quello che indossiamo, c’è un capitolo importante che non vediamo, che non ci viene raccontato, soprattutto quando si parla di fibre naturali. I produttori di fibre nel gergo a volte sterile della moda fanno parte del Tier 4, sono classificati così. Si tratta di persone che sono guardiani dei territori che abitano, che ogni giorno fanno i conti con difficoltà legate al cambiamento climatico e alla schizofrenia del mercato, che vivono in un mondo lontano anni luce da quello della moda. Ma che sono orgogliosi di quello che fanno e lo sono così tanto da commuoversi quando parlano dei loro ranch, dei loro animali, delle lotte che combattono e che qualche volta riescono a vincere.
Sono stata al Natural Fibre Connect a Biella (con una tappa a Prato dedicata alle fibre riciclate) e non vi nascondo che mi sono emozionata ascoltando le testimonianze di allevatori di tutto il mondo, impegnati nel portare avanti una tradizione spesso centenaria che li lega al loro lavoro, imparando tutti i giorni nuove tecniche per rispettare l’ecosistema. Sono queste le storie belle di cui abbiamo bisogno.
Vi riporto due testimonianze, che spero piaceranno anche a voi.
LA LOTTA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO DEGLI ALLEVATORI AUSTRALIANI Sono saliti sul palco in 6 per raccontare la loro sfida quotidiana contro il cambiamento climatico: lunghi periodi di siccità che stanno cambiando il territorio e stanno rendendo difficile un lavoro che in Australia si fa da sempre. Allevare pecore, ricavarne Merino finissima, è una tradizione che si tramanda da generazioni, ma che adesso rischia di diventare impossibile da portare avanti.
L’aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale sta riducendo la sopravvivenza degli agnelli e i tassi di fertilità nel gregge di pecore australiano. Uno studio dell’Università di Adelaide, pubblicato sulla rivista Nature Food, ha calcolato l’impatto che un aumento medio della temperatura di 1°C e 3°C avrebbe sull’industria ovina australiana, che rischia di perdere 4,3 miliardi di dollari. Si stima che circa 2,1 milioni di potenziali agnelli vengano attualmente persi ogni anno a causa dello stress da caldo, afferma lo studio.
Le aree per il pascolo si stanno riducendo, così come i costi per l’allevamento: i lunghi periodi di siccità costringono gli allevatori ad acquistare il mangime e a ricorrere a metodi di irrigazione molto costosi e impattanti. Il risultato è che alcuni allevatori sono in gravi difficoltà economiche, ma nessuno di loro prende in considerazione di abbandonare i propri ranch. Il legame con il territorio, con gli animali, con la propria storia è fortissimo. Passato il momento di sgomento, molto di loro stanno cercando di seguire strade innovative per affrontare il cambiamento climatico: non è più una questione di avere una cattiva annata, una eventualità che gli allevatori e i coltivatori sono pronti ad affrontare da sempre. Piuttosto deve essere affrontato un cambiamento sistemico che rendono sconosciute le terre di cui si prendono cura da generazioni.
Potete capire meglio guardando questo video, che è stato proiettato durante la conferenza.
IL RILANCIO DELLA LANA AMERICANA Era il 1871 quando la famiglia di Jeanne Carver aprì il suo ranch in Oregon: la Shaniko Wool Company produce lana da oltre 150 anni, nonostante il mercato della moda non sia sempre stato interessato a questa fibra in USA. Quando alla fine degli anni Novanta iniziò la delocalizzazione massiccia della produzione di moda in Asia, Jeanne si trovò a dover fare i conti con una crisi pesante. Con la produzione spostata dall’altra parte del mondo, la fibra delle sue pecore non era più richiesta.
In quel momento buoi decise di non mollare e diede inizio ad una serie di innovazioni nella gestione del ranch, delle varietà vegetali destinate al mangime per gli animali, alla salute del gregge, che l’ha resa una vera e propria pioniera nella gestione sostenibile del suo allevamento. Proprio la sua azienda nel 2016 è stata la prima al mondo ad ottenere la certificazione RWS, Responsible Wool Standard, di Textile Exchange.
Questo lavoro ha attirato l’attenzione di Ralph Lauren, che ha deciso di utilizzare la sua fibra per realizzare un prodotto Made in USA. Poi è arrivato anche il recente successo: la fibra di Shaniko Wool Company è stata usata per realizzare le uniformi per le Olimpiadi di Parigi disegnate da Ralph Lauren. Mentre dal palco del Natural Fibre Connect, Jeanne raccontava la sua storia, singhiozzava, con la gioia e l’orgoglio di chi sente di avercela fatta.
Quell’orgoglio, quella passione, sono la storia che non ci viene raccontata dietro le fibre che indossiamo. Siamo impegnati a trovare sistemi di misurazione degli impatti ambientali, cosa giustissima: ma cosa dire dell’impatto sociale? Come si possono misurare i benefici che il territorio trae dalla presenza di persone appassionate e preparate, che mantengono vive le proprie attività, che permettono a comunità di prosperare, evitando l’abbandono di zone impervie?
Se siete interessati, sul canale Youtube di Natural Fibre Connect trovare la registrazione di tutti gli interventi.
MATERIALS MATTER STANDARD DI TEXTILE EXCHANGE Parlare di impatti e misurazioni mi porta a introdurvi il nuovo Materials Matter Standard di Textile Exchange, che per adesso è stato presentato in bozza. Il focus del nuovo standard è proprio sul Tier 4, sugli allevatori e sui coltivatori, che saranno tracciati e monitorati con attenzione, stimolando anche l’utilizzo di pratiche rigenerative.
Cerco di spiegarvi le novità in breve. Innanzitutto, per semplificare il sistema di certificazioni creato da Textile Exchange, il Materials Matter è la base comune sulla quale si innestano le varie certificazioni (RWS, RAS, RMS, GRS, etc). Questo significa che sarà più semplice ottenere più di una certificazione. Per evitare duplicazioni di audit, è anche prevista una maggiore integrazione con altri standard già esistenti, andando nella direzione del mutuo riconoscimento.
Come dicevo, il focus si sposta sull’impatto climatico e su un approccio nature positive alla produzione delle fibre e quindi ci sarà una intensa attività per la verifica delle aziende che fanno parte del Tier.4. Si vuole creare uno standard di valutazione, ma anche far emergere e valorizzare le esperienze più virtuose. La parte della tracciabilità è fondamentale.
C’è una semplificazione sulla parte dedicata alla verifica degli “Human Rights”, con l’eccezione delle aziende che fanno parte del Tier 4 che invece su questo punto saranno maggiormente controllate. C’è poi l’implementazione della parte dedicata alla chimica, che richiederà analisi e controlli lungo tutta la filiera.
E’ poi previsto un sistema di etichettatura che potrà anche essere apposta sui capi: è in corso un confronto con i principali brand per valutarne l’applicabilità, ma l’obiettivo di Textile Exchange è quello di arrivare al consumatore.
Sono stati fatti alcuni progetti pilota in giro per il mondo per capire l’applicabilità del nuovo Standard alle varie realtà. Per le materie riciclate, il pilota è stato fatto a Prato.
In breve (non preoccupatevi, ne riparleremo), guardate qui sotto:
La bozza dello Standard è stato presentato adesso e per tutto il 2025 ci sarà spazio per fare commenti e osservazioni, che poi saranno raccolte in vista della pubblicazione dello Standard definitivo a inizio 2026 e che entrerà in vigore a metà dello stesso anno.
LE DONNE NEL MONDO DEL FASHION SONO PAGATE DI MENO Non sono rimasta sorpresa leggendo il nuovo report di Global Fashion Agenda e PWC dal titolo “Unpacking Pay Equity in Fashion: Italy”; purtroppo, fatemi aggiungere, girando per le aziende si capisce che questa è la realtà.
Secondo i dati INPS sull’occupazione nel settore privato, nel 2022 le donne del settore tessile italiano guadagnavano 80 euro al giorno, mentre gli uomini guadagnavano 107. Nel settore conciario e della pelletteria, le donne guadagnavano in media 82€ e gli uomini 100€. Nel complesso, per ogni euro guadagnato dagli uomini, le donne, in media, guadagnano 0,81€, con una differenza salariale del 19%.
Eppure alla domanda sulla loro percezione del divario retributivo di genere, solo il 20% dei produttori di moda italiani ha segnalato disuguaglianze salariali nelle proprie aziende. Probabilmente questo è un dato che non viene monitorato con regolarità e quindi si creano queste disparità.
Secondo il 43% delle lavoratrici intervistate la maternità incide negativamente sull'avanzamento professionale delle donne. Da un’indagine condotta da PwC Italia tra aprile e maggio 2024 su un campione di 500 lavoratrici o ex lavoratrici tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio, è emerso che il principale impatto della maternità sul lavoro è stato la riduzione dell’orario di lavoro e la perdita del posto. Sebbene il 60% delle aziende intervistate offra sostegno alla genitorialità (la forma più comune di sostegno è la flessibilità, praticata dal 38% delle aziende), solo il 5% delle aziende prevede congedi di paternità aggiuntivi o asili nido. Insomma, c’è molto da lavorare per superare un pregiudizio che affida responsabilità familiari e di cura domestica alle donne e non maniera condivisa con il partner.
Adesso vi saluto perché ho bisogno di un caffè: mi fate compagnia?
Buona lettura
Da leggere
Plastica da indossare: nella moda raddoppiato l’uso di fibre sintetiche negli ultimi tre anni - Il Sole 24 Ore
Indagare la natura metafisica della moda attraverso il linguaggio della filosofia - Linkiesta
La prossima settimana ci sarà una bella novità, un progetto al quale tengo molto e che non vedo l’ora di condividere.
Scrivetemi se volete condividere anche voi qualcosa con me: silvia@solomodasostenibile.it
Grazie a tutte le persone che mi hanno scritto offrendomi la propria collaborazione, mi avete riempito di gioia!
Tra libri e documentari, ci sono diverse cose nuove in giro che meritano la nostra attenzione: cosa ne dite se la prossima settimana ne parliamo?