#189 Fibre riciclate, fibre vergini: è sempre questione di costo
La newsletter di Solo Moda Sostenibile
Parlare di nuovi materiali, di fibre vergini, fibre riciclate, è sempre un tema affascinante. Innanzitutto perché siamo letteralmente sommersi dal lancio di “next gen materials”, come vengono chiamati. Nel 2023 sono stati investiti in queste start up circa 500 milioni di euro. E’ difficilissimo capire quali possono rappresentare una reale alternativa e quali hanno le carte in regola per affermarsi sul mercato. Non illudiamoci che siano le loro caratteristiche o la loro scalabilità a decretarne il successo: è sempre lui, il costo, il vero ago della bilancia.
PARLIAMO DI POLIESTERE
In suo articolo su Linkedin Michiel Scheffer, presidente dell’European Innovation Council, ha scritto: “Gli studi hanno dimostrato che il dominio del poliestere sta deprimendo tutti gli altri settori. Il prezzo del poliestere è sceso in 40 anni da circa 10 dollari al chilo a 1,04 dollari al chilo. Il poliestere è più economico (nell’UE) di un litro di benzina, e il poliestere ha solo IVA e nessuna accise. Il cotone (che è più costoso da lavorare rispetto al poliestere) deve essere più economico del 20% per essere competitivo e fibre di qualità superiore come la viscosa e la poliammide possono essere leggermente più costose, ma se il divario è troppo grande, i poliesteri modificati sono un sostituto”.
Inoltre, terminato il monopolio delle grandi multinazionali che producevano e sostenevano il poliestere, adesso la produzione si è estesa soprattutto in Cina, in fabbriche che hanno una grande capacità produttiva, che vantano il 90% di utilizzo medio degli impianti e che sono pronte a immettere sul mercato tutta la fibra di cui il mercato ha bisogno per continuare a produrre capi a basso costo. E’ un mercato che punta a crescere, non a rallentare.
Se il materiale vergine costa così poco, è difficile che si possa aprire un business reale per le fibre riciclate. Questa situazione potrebbe cambiare solo se il costo del poliestere vergine salisse: ad esempio con un sistema di tassazione basato sulla CO2 emessa, con l’introduzione di accise, usando gli strumenti che possono essere previsti dai sistemi EPR.
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Scheffer fa anche notare che il poliestere riciclato per essere impiegato in usi tessili necessita di una certa quantità di poliestere vergine per poter essere utilizzato, per garantire un livello qualitativo accettabile. Quindi incrementare la quantità di poliestere riciclato richiederà la produzione di poliestere vergine, creando un loop infinito. Una provocazione, ma c’è anche molta verità. Ci sono tante conversazioni aperte che distolgono la nostra attenzione dal problema reale: quando la discussione si sposta sul tema degli impatti sociali e ambientali delle fibre naturali (e quindi su tutti i vari sistemi di misurazione) stiamo solo distogliendo lo sguardo dal problema reale, ossia che abbiamo creato un sistema moda troppo dipendente dal poliestere e non ci sono azioni concrete per ridurre questa dipendenza.
Forse sarà la legge a costringere il sistema moda a trovare delle soluzioni. E’ uscito un report di Post Plastic Economy di Plastic Free & Fashion Snoops che afferma che ignorare la pressione per abbandonare la plastica potrebbe costare alle aziende fino a 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2040. Il passaggio ad alternative alla plastica naturale e l’integrazione di modelli di riutilizzo e diritto alla riparazione è fondamentale e le aziende devono aderire prima che venga approvata la legislazione che impone loro di farlo.
Ignorare la necessità di cambiare rotta potrebbe costare loro l’equivalente del 25% del fatturato, poiché tra il 2012 e il 2022 sono entrate in vigore 731 nuove politiche sull’inquinamento da plastica. Entro il 2025 entrerà in vigore anche un Trattato globale sulla plastica delle Nazioni Unite, giuridicamente vincolante, applicabile a tutte le 175 nazioni attualmente coinvolte nei negoziati.
Se è vero che la plastica (e il poliestere) sono alla base dell’iperconsumismo generalizzato degli ultimi 50 anni, liberarsi da questa dipendenza è finalmente diventata una necessità anche economica. Questo non significa bannare queste fibre dal menu dei materiali, ma semplicemente ridurne il consumo in maniera considerevole.
RICICLO DA TESSUTO A TESSUTO IN USA, UN’OPPORTUNITA’ DA 1,5 MILIARDI DI DOLLARI
Gli Stati Uniti sono leader globali nel consumo tessile e nella produzione di rifiuti, e sono una delle maggiori fonti di materie prime secondarie per materie prime tessili post-consumo. Nonostante ciò, solo il 15% dei rifiuti tessili prodotti negli Stati Uniti viene attualmente recuperato, di cui l’85% finisce in discarica o inceneritori.
Con i cambiamenti normativi annunciati sia nella UE che negli USA, c’è una crescente domanda di infrastrutture legate alla raccolta, cernita e riciclaggio dei tessili post-consumo. Nel tentativo di creare una catena di fornitura funzionale e le infrastrutture necessarie, mancano dati su due aree critiche: il comportamento di smaltimento dei consumatori e le caratteristiche dei materiali dei tessili post-consumo. Il progetto Sorting for Circularity USA lanciato da Fashion For Good ha affrontato queste lacune attraverso un sondaggio nazionale completo sui consumatori e un’analisi della composizione dei rifiuti. E’ tutto contenuto in questo report.
L’analisi della composizione dei rifiuti ha rivelato che oltre il 56% dei tessili post-consumo è adatto al riciclo da fibra a fibra, con cotone e poliestere che sono i tipi di fibra più diffusi. Il progetto ha rivelato un’opportunità da 1,5 miliardi di dollari per il riciclaggio da fibra a fibra reindirizzando i tessuti non riutilizzabili dalle discariche e dagli inceneritori ai flussi di riciclaggio.
Per cogliere questa opportunità, il rapporto evidenzia che è necessario attivare regimi di responsabilità estesa del produttore, sui quali ad oggi si sta discutendo solo in alcuni Stati, come ad esempio la California.
E’ necessario valutare la fattibilità commerciale e tecnica di un processo di smistamento semiautomatico e identificare opportunità di investimento per scalare le soluzioni a livello nazionale. Nel report trovare analisi molto approfondite sul funzionamento del sistema di raccolta e sulle possibilità di attivare impianti e collaborazioni in USA. Leggetelo, magari vi viene un’idea.
Io ho trovato anche questo grafico interessante, sui Paesi che hanno o stanno lavorando sull’EPR per i tessili. Cosa ne pensate?
EXPORT UK ABBIGLIAMENTO E CALZATURE CROLLATO DOPO LA BREXIT
Secondo l’indagine di Retail Economics e Tradebyte le esportazioni di abbigliamento e calzature della Gran Bretagna verso i paesi dell’UE sono scese da 7,4 miliardi di sterline nel 2019 a 2,7 miliardi di sterline nel 2023, contribuendo ad alimentare un crollo del 18% nelle vendite di tutte le esportazioni di beni non alimentari verso i paesi coperti dal mercato unico dell’UE. La Brexit, insomma, ha colpito duro, non solo sulle rotte tradizionali del commercio, ma anche sugli e-commerce.
A farne le spese sono state soprattutto le piccole e medie imprese britanniche, svantaggiate nella gestione del carico burocratico necessario per l’export. Tra l’altro ci sono molte polemiche su questo punto: c’è chi sostiene che le autorità britanniche sono state molto rigide nell’effettuare controlli attenti sui materiali esportati, ma non hanno prestato la stessa attenzione a quelli in entrata, creando un vantaggio competitivo ai competitor extra UK.
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Il report evidenzia che alle radici del calo, c’è stato anche un cambiamento nella filiera produttiva: se prima c’erano dei semilavorati che arrivavano dall’Asia e venivano confezionati in UK per poi essere venduti nella UE, adesso questi prodotti arrivano direttamente nella UE, dove vengono finiti e venduti. Questo ha causato anche la perdita di posti di lavoro.
MEGLIO L’APPROFONDIMENTO
Si è chiuso il sondaggio e il risultato mi ha sorpreso: preferite l’approfondimento, le notizie lunghe e argomentate. Mi ha sorpreso perché si legge continuamente che nessuno ha più la soglia di attenzione così alta da voler prestare attenzione a testi troppo lunghi e articolati, ma forse questo fa parte di una scusa utilizzata per destinare sempre meno tempo a informare i lettori, limitandosi a pezzi brevi con titoli altisonanti.
Lo so che avete votato in pochi (solo 49 su 3630 iscritti) ma la tendenza è chiara. Siete anche un pubblico molto attento e vi ringrazio per questo: la newsletter ha un tasso di apertura che sfiora il 60% e ogni mese ottiene circa 20 mila letture. Quindi grazie per la vostra fiducia e per il vostro feedback. Continuerò a prendermi il tempo che ci vuole per illustrare gli argomenti che vi interessano.
Prima di salutarvi, volevo consigliarvi di vedere il documentario di Patagonia: sono certa che tanti di voi l’hanno già visto, ma chi non l’ha fatto, provveda: non potete perdervelo!
E adesso vi lascio al vostro caffè! Cercate di splendere nel weekend!
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La prossima settimana sarò a Montelupo Fiorentino per moderare la tavola rotonda dal titolo “Sustainability last call - Come reagire alle attuali sfide che gli attori della filiera devono affrontare per mantenersi aggiornati, in linea con le normative e competitivi” organizzata da FGL International per festeggiare i 20 anni di attività. Ci saranno ospiti interessanti e sarà l’occasione per fare una chiacchierata sulle difficoltà che stanno interessando il mondo della pelle e sulle prospettive future. Poi vi racconterò. L’evento è su invito.
Inizia la stagione delle fiere, si scaldano i motori. Il momento è delicato, vediamo cosa accadrà. Se volete scrivermi, silvia@solomodasostenibile.it