Rappresenta circa il 54% della produzione mondiale ed è la fibra più utilizzata al mondo. L’enorme aumento del suo utilizzo è una delle ragioni che ha portato alla overproduction di abiti che stanno invadendo il mondo, perché economico e versatile. Lo so che avete capito che sto parlando del poliestere, che ora più che mai si trova nell’occhio del ciclone. La sfida sintetico contro naturale è in corso, ma non è destinata ad avere né vincitori né vinti. Non è percorribile immaginare che il mondo della moda possa utilizzare solo fibre naturali, perché questo porterebbe a un impoverimento dell’ambiente insostenibile. Ma non possiamo nemmeno lasciare che la produzione dei sintetici di origine fossile continui a crescere ai ritmi attuali. Dobbiamo ridurre il consumo di abiti (e non di poco), pensare a soluzioni circolari, e dobbiamo anche investire per trovare un nuovo modo di produrre di poliestere.
Ho apprezzato molto il report di Textile Exchange uscito nei giorni scorsi dal titolo “The future of synthethics”, perché è uno strumento utile per fare il punto della situazione. Innanzitutto l’industria deve trovare modi per riutilizzare i rifiuti tessili sintetici esistenti, ma allo stesso tempo è anche importante identificare e investire in modi alternativi per produrli, utilizzando materie prime rinnovabili riciclate o provenienti da fonti sostenibili, riducendo al tempo stesso il volume dei nuovi materiali prodotti complessivamente.
Oggi il riciclo meccanico delle bottiglie di plastica PET è l’alternativa più comune al poliestere vergine. Non è però una buona soluzione. L’industria deve investire nell’ampliamento delle tecnologie di riciclo da tessile a tessile per i sintetici per creare un vero sistema a circuito chiuso, piuttosto che fare affidamento su materie prime provenienti da un altro settore.
Nell’uso dei sintetici resta il problema del rilascio di microfibre e microplastiche un tema importante, che deve essere affrontato, ma che non è oggetto del report di Textile Exchange. Sarebbe importante trovare metodologie adeguate e condivise per misurare il rilascio di queste particelle e avere così un quadro chiaro della situazione.
Nel report un’analisi aggiornata sulle possibilità che si stanno aprendo per il futuro delle fibre sintetiche, ma adesso mi vorrei concentrare su due temi: sulle soluzioni più utilizzare per il riciclo del poliestere fiber to fiber e sui biosintetici.
Partiamo dal riciclo. Ci sono due principali tecniche utilizzate:
riciclo meccanico: circa il 99% di poliestere riciclato che viene impiegato nei tessuti proviene da bottiglie in PET riciclate meccanicamente. Se si vuole usare questa tecnica per gli abiti usati, innanzitutto si deve evitare di avere blend di fibre: cotone ed elastan (il polycotton), richiedono una separazione costosa e ad alta intensità di manodopera. Inoltre il riciclaggio meccanico è un processo abrasivo che produce una fibra riciclata più debole e di qualità inferiore rispetto alle fibre di poliestere vergini. Per mantenerlo qualità e prestazioni originali, è comune fondersi tessili riciclati meccanicamente con materiali vergini.
riciclo chimico: Sono processi progettati per gestire coloranti, additivi, e finissaggi, e sono anche in grado di produrre fibre tessili riciclate con capacità prestazionali sostanzialmente equivalenti alle fibre di poliestere vergini. Praticamente si fa un parziale o totale processo di depolimerizzazione, che poi permette di creare un nuovo polimero. Possono essere utilizzate tecnologie diverse: idrolisi, metanolisi, glicolisi ed enzimolisi. Ma attenzione perché la necessità di molta energia e anche in questo caso di avere materiali puri, non mescolati con altre fibre, rende necessario mettere a punto i processi.
Mi affascina molto tutto il mondo dei biosintetici: sono fibre totalmente o parzialmente derivate da risorse biobased e rappresentano un’alternativa alle loro controparti sintetiche basate sui combustibili fossili. Ma ci sono degli aspetti da considerare: solo perché una fibra proviene da fonti biologiche, non significa necessariamente che il suo impatto sia favorevole. Dobbiamo porci delle domande: la materia prima è stata coltivata in modo rigenerativo o organico? La produzione della materia prima ha utilizzato un materiale che altrimenti avrebbe potuto o dovuto essere una fonte di cibo? Possiamo provare che provenga da materie prime di scarto?
Dividiamo i biosintetici in due categorie:
Le “sostituzioni dirette”, cioè materie prime di origine biologica che sono chimicamente identiche a quelle vergini e possono essere utilizzate come soluzioni simili all’interno delle tecnologie esistenti. Ad esempio il poliestere e il nylon biobased, ma c’è sempre una percentuale, a volte molto alta, di materiali a base fossile.
Le “sostituzioni alternative”: sono materie prime biobased chimicamente diverse dalle loro controparti vergini e pertanto non possono essere utilizzate come soluzioni “drop-in”. Un esempio sono i PHA, una categoria di poliesteri termoplastici che può essere sintetizzata utilizzando molte forme di batteri e
microrganismi. A differenza dei poliesteri sintetici, che fanno affidamento
sugli input basati sui combustibili fossili, le materie prime provengono da gas serra, come CO2, metano o biomassa fonti derivate come zuccheri, amidi, glicerina e trigliceridi. Un altro approccio alla produzione di PHA è l’approvvigionamento biologico/ scarti cellulosici. Questo sta diventando sempre più materia prima popolare per l’innovazione dei biomateriali.
Insomma, esistono tante soluzioni per ridurre l’impatto dei materiali sintetici, anche se molte sono in fase di studio e non sono ancora pronte per il mercato di massa. Servono ricerca, tempo, investimenti, ma il futuro del tessile sarà strettamente connesso a queste innovazioni. Non ha senso voler ridurre tutta la complicata riflessione in corso attualmente sulle fibre al confronto tra fibre naturali e fibre sintetica: la valutazione va fatta caso per caso, non ci possono essere scorciatoie.
UN NUOVO STANDARD PER LA LANA AUSTRALIANA
L’Australian Wool Exchange (AWEX) ha lanciato un nuovo programma di integrità per la lana. L’Australian Wool Sustainability Scheme (AWSS) è stato presentato al Congresso dell’International Wool Textile Organization (IWTO) che si è tenuto questa settimana ad Adelaide. Praticamente l’organizzazione australiana ha inserito un nuovo standard per lasciare agli allevatori l’opzione di scegliere se praticare il mulesing oppure no.
Da luglio 2024 le aziende e gli allevatori potranno scegliere se accreditarsi a uno degli schemi lanciati da AWSS: il nuovo programma SustainaWOOL, che non prevede il mulesing, oppure al ResponsiWOOL dove invece è ammesso.
Per chi non lo sa il mulesing è l’asportazione della pelle che si forma tra le zampe posteriori delle pecore, vicino all’ano, per evitare l’attacco delle mosche: è un tema fondamentale nella produzione della lana, perché questa pratica è molto dolorosa per l’animale. La rimozione della pelle può essere effettuata tramite taglio con cesoia, mediante applicazione di azoto liquido (marchio a fuoco o "steining" per congelamento delle pecore) e mediante l'uso di anelli di gomma, usati per il taglio della coda o castrazione.
E’ stata la Nuova Zelanda nel 2018, il primo Paese a vietare questa pratica, ma in Australia è ancora permessa, perché gli allevatori sostengono che sia necessaria per la salute dell’animale e del gregge. Oggi l’Australia produce circa il 24% della lana mondiale e il mulesing viene ampiamente praticato, come potete vedere dal grafico sotto.
Questo ostacola l’ottenimento della certificazione Responsible Wool Standard (RWS) di Textile Exchange, ma soprattutto richiede un sistema di tracciabilità efficace, che permetta di isolare la lana “mulesed”. Per questo tipo di materiale non è possibile ottenere nemmeno la certificazione organica, perché sia il GOTS che OCS vietano l’uso del mulesing. Forse l’opzione inserita nello standard australiano può essere interpretato come un segnale di cambiamento da parte degli allevatori, che potrebbero uniformarsi al resto del mercato.
SEI UN DESIGNER CHE SOGNA IL GIAPPONE?
Voglio segnalarvi il NIC Award, lanciato dalla Camera di Commercio Italiana a Tokyo, che dà la possibilità a un nuovo brand sul mercato da almeno due anni e a uno studente o studentessa appena laureati, di andare a Tokyo a presentare il proprio lavoro per presentare la propria collezione, con il supporto dell’ente. Qui trovate tutte le info.
Ho visto tantissime cose interessantissime alla Milano Design Week, il tema della sostenibilità è molto presente e ci sono soluzioni interessanti. Ve ne parlerò la prossima settimana perché voglio raccogliere le idee e approfondire meglio. Scrivetemi se avete qualcosa da segnalare e ringrazio chi l’ha già fatto.
Adesso cosa ne dite di prenderci un caffè?
Da leggere:
In Cina, le griffe del lusso colpite dall'esplosione dei resi - Fashion Network
Cosa dice l'etichetta della carne su benessere animale e sostenibilità - Repubblica Green & Blue
Olivia Gregoire: «Moda, un piano francese per promuovere le sinergie con l’Italia» - Il Sole 24 Ore
Export, per la moda avvio d’anno in calo (-4,1%): ‘colpa’ del tessile e della pelle - Pambianco
Quella che ci aspetta è la Fashion Revolution Week, per celebrare l’anniversario del crollo del Rana Plaza, in Bangladesh, dove persero la vita 1138 persone. Sono numerosi gli evento organizzati anche in Italia, potete trovare qui la mappa completa.
Io sarò a Firenze il 23 aprile alle 14,30, all’iniziativa organizzata da Accademia Italiana. “Itinerage, un itinerario nell'heritage dell'Oltrarno tra designers & makers”. A partire dalla sede di Palazzo Temple Leader in Piazza de’ Pitti, 15 con un talk al quale parteciperò con Elena Ianeselli di Lottozero e Debora Florio di Remake. Poi partiremo per seguire un itinerario nelle realtà artigiane d’Oltrarno: LAO - Le Arti Orafe, FAF - Female Arts in Florence, l’Ornitorinco, il Conventino e Schola. Prenotazione obbligatoria su Eventbrite.
Il 24 aprile alle 20,30 al Cinema di Chiasso ci sarà invece la prima proiezione in Svizzera di “Stracci” organizzata da Acsi, l’associazione dei consumatori e delle consumatrici della Svizzera italiana. Entrata libera. Mi fa molto piacere che abbiano scelto il documentario per ricordare una giornata così importante, che non dobbiamo dimenticare.
Oggi vi saluto velocemente, perché sono un po’ stanca. Succede. Cercherò di trascorrere il weekend tra le pagine di un libro e un ago per fare uno dei miei lavoretti (non sono certo dei capolavori, ma mi rilassano).
Se volete farmi compagnia, scrivetemi: silvia@solomodasostenibile.it.
La newsletter uscirà anche sabato 27 e in settimana ci sarà un nuovo episodio del podcast, mentre altri contenuti sono in preparazione.
Grazie!
Interessante come sempre , complimenti